Cagliari, Grafica del Parteolla, 2009.
Quando, diversi anni fa, ebbi l’onore e il piacere di presentare a Cagliari il Vocabolario Sardu campidanesu – Italianu di Giovanni Casciu, conclusi il mio intervento con l’auspicio che l’Autore volesse affrontare la fatica inversa: quella di allestire un vocabolario Sardo campidanese-Italiano, mettendo a frutto il lavoro appena concluso e rendendo così un servigio culturale alla lingua sarda e ai Sardi stessi, in particolare i più giovani.
Questo auspicio è felicemente diventato realtà. Una realtà di molto valore.
La lessicografia sarda conta ormai infatti un buon numero di validi lavori, anzi talvolta eccellenti, in una tradizione che vanta già più di un secolo: dai lavori dello Spano e del Porru, a voler tacere dei primi tentativi del Madao, per arrivare poi al capolavoro di Max Leopold Wagner, il Dizionario Etimologico Sardo (DES) e a diversi lavori più recenti, fra i quali andrà certo ricordato il Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda di Mario Puddu. Tuttavia nei tempi ultimi, se si eccettuano alcuni tentativi di diseguale valore, sono mancati dizionari Italiano-Sardo, mentre gli sforzi e i risultati migliori si sono concentrati sui dizionari monolingui sardi o sul versante Sardo-Italiano.
Questo vocabolario di Giovanni Casciu viene dunque a colmare una mancanza e sopperisce a una necessità. Si tratta di un dizionario che comprende più di 25.000 lemmi; esso, esemplato sui migliori dizionari italiani d’uso, propone la traduzione sardo campidanese di ciascuna voce in entrata, per molte delle quali sono riportate varianti lessicali diverse, spesso accompagnate da esemplificazione mediante sintagmi o frasi che chiariscono il valore semantico particolare, si veda p. es., le voci Sbieco, Carne e Bettola:
Sbieco agg. sbiàsciu, tortu – un muro s., unu muru tortu; nella loc. “di s.”, de sbiàsciu – guardare di s., casiai de sbiàsciu.
Bèttola, s.f. osteria, steria, taverna, buttega de binu, piola (t.gerg. di Cagliari) – frequentare le b., frequentai is osterìas; – discorsi da b., arrexonamentus de osteria.
Carne, s.f. 1. parte muscolare del corpo dell’uomo, carri, pruppa – essere bene in c., èssiri in pruppas; c. viva, carri bia; – sono proprio io, in c. e ossa, seu propiu deu, in persona; – le tentazioni della c., is tentazionis de sa carri 2. carne degli animali usata come alimento, pezza – c. di bue, di maiale, di pollo, pezza de boi, de porcu, de pudda; – non è né c. né pesce, no est ni pezza e ni pisci.
I diversi valori della voce italiana in entrata sono invece contrassegnati, quando è il caso, da numero progressivo in evidenza e quasi sempre avvalorati da esemplificazione appropriata. Si veda, p. es., l’articolo relativo alla voce Camera e quello relativo alla voce Proiettare:
Camera, s.f. 1. ambiente interno di un edificio per abitazione, aposentu – c. da pranzo, da letto, aposentu de prandiri, de lettu (de corcai); – c. mobiliata, aposentu alasciau; – veste da c., guardabì; – un appartamento di tre camere e cucina, un’appartamentu de tres aposentus e coxina 2. Ambiente o spazio delimitato, riservato per usi specifici, camera – c. di punizione, c. di sicureza, c. mortuària, camera de castigu, camera de seguresa, camera mortuària 3. spazio chiuso in cui si svolge un processo fisico o chimico o di altra natura, camera – c. oscura, c. di scoppio, camera d’aria, camera oscura, camera de scoppiu, camera d’aria 4. organo collegiale con potere consultivo, deliberativo o legislativo, Camera (con iniziale maiuscola) – C. dei deputati, C. di Commercio, Camera de is deputaus, Camera de Commerciu.
Proiettare, v.tr. 1. lanciare, imbrillai, spondiri – nell’incidente il pilota fu proiettato fuori dalla macchina in corsa, in s’ incidenti su pilota nci fut spondiu a foras de s’automobili in cursa 2. emettere un fascio di luce – gli proiettò sul volto la luce della torcia, nci dd’hiat imbrillau a facci sa luxi de s’accia elettrica; – l’albero proietta la sua ombra sulla terrazza, sa mata proiettat s’umbra sua in su terrazzu 3. riprodurre su schermo diapositive e immagini di una pellicola, proiettai, fai biri – ci ha fatto vedere il filmino del suo ultimo viaggio e delle stupende diapositive, s’hat fattu biri su filmixeddu de s’urtimu viaggiu suu e diapositivas meravigliosas.
o quello relativo alle voci Ronzare e Ceppo:
Ronzare, v.intr. 1. emettere il rumore che fanno alcuni insetti volando, amuinai, zumiai, frusiai – le api ronzano intorno ai fiori, is abis zumiant a ingiriu de is froris 2. (fig.) mulinare, frusiai – è da ieri che mi ronza nella testa quest’idea, est di arisei chi megat a mi frusiai in conca cust’idea; – r. intorno a una ragazza, arrodiai a ingiriu de una picciocchedda.
Ceppo, s.m. 1. parte inferiore del tronco di un albero, ciocco, cozzina – mettere un c. sul fuoco, pòniri una cozzina in su fogu 2. grosso pezzo di tronco reciso e pareggiato, per vari usi, cippu, truncu – c. per le decapitazioni, cippu po is degogliaduras; – c. da macellaio, cippu de carnazzeri 3. capostipite di una famiglia, origine di una stirpe, arrazza, stripa, erenzia, arremporiu – essere di antico ceppo, essiri di arremporiu antigu 4. pl. arnesi di legno o di ferro per serrare i piedi ai prigionieri, griglionis 5. (fig.) persona stolta, tarda, cozzina.
La necessità cui risponde questo lavoro, oltre che essere oggettiva in se stessa, si fa sentire con maggiore impellenza nei tempi odierni: oggi che, purtroppo, la lingua sarda è sempre più minacciata e vede assottigliarsi viepiù il numero dei suoi parlanti, in misura rilevante soprattutto fra le giovani generazioni urbane e/o scolarizzate. Se un vocabolario monolingue sardo, o anche in certa misura un vocabolario Sardo-Italiano, risponde essenzialmente alla necessità e allo scopo della conservazione del tesoro lessicale della lingua, un dizionario italiano-sardo ha principalmente lo scopo di permettere con maggior agio e semplicità l’acquisizione o il controllo del lessico sardo non tanto ai non Sardi, quanto ai Sardi stessi e in particolar modo a quanti, fra i Sardi, hanno una conoscenza ormai labile della loro lingua, una conoscenza, magari solo passiva, ridotta alle parole più comuni e familiari, alle espressioni più trite e corrive; esso è un forte corroborante ed un commutatore per quella conoscenza non dico minima, ma anzi minimale che ingenera assai spesso la falsa coscienza del Sardo come lingua povera e senza strumenti espressivi. Si potrà così verificare e (ri)scoprire quante parole il lessico sardo contempli anche per significati relativamente ai quali oggi si inclina supinamente verso gli italianismi, per la disabitudine ormai acquisita di non servirsi del Sardo al di fuori delle esigenze e dei registri più pragmatici, al di là dei quali o ci si esprime in Italiano o dell’Italiano si è tributari. Si vedano i seguenti esempi tratti dal presente vocabolario:
Abbacchiamento, s.m. 1. atto dell’abbacchiare, scutuladura 2. stato di depressione, annungiu, avvilimentu, abbattimentu.
Aspirazione, s.f. 1. vivo desiderio, aspirazioni, punna, disigiu – avere molte a., tèniri medas aspirazionis 2. l’atto di aspirare, tirada, suspidu.
Audacia, s.f. coraggiu, prontu, alidanza, azzardu – ha avuto l’audacia d’insultarmi, hat tentu su prontu de mi offendiri.
Brama, s.f. spéddiu, arràngulu, gana manna – b. di ricchezze, di sapere, speddiu di arricchesas, de sciri.
Cavillo scusa, arreghescia, pinnica, arrezzallu – ha cercato c. per non andare alla festa, hat circau arreghescias po no andai a sa festa
Cérnita, s.f. cérrida, sceru, scioberu – fare una cernita accurata, fai unu sceru scrupulosu.
Distensione, s.f. distensioni, asseliu – la d. degli arti, dei nervi, sa distensioni de is arremus, de is nerbius; – la d. degli animi, s’asseliu de is animus
Depressione, s.f. 1. zona che si trova a livello inferiore a quello del mare o delle regioni circostanti, basciura 2. stato di prostrazione fisica e psichica, scoramentu, abbattimentu – avere momenti di grave d., tèniri momentus de scoramentu mannu.
Diffusione, s.f. diffusioni, spainadura – la d. di un giornale, sa diffusioni de unu giornali; – l’inglese è una lingua di larghissima d., sa lingua inglesa est spainada in totu su mundu.
Diffuso, agg. diffùndiu, spainau, spartu.
Distrazione, s.f. sbéliu, distrazioni, spreviu – l’ho fatto per d., dd’hapu fattu po distrazioni; – hai troppe d., tenis troppu distrazionis; – a fine settimana avrò diritto a un po’ di d.! ,a cou de cida hap’a tèniri derettu a unu pagu de spreviu!
Divérbio, s.m. briga, contienda, abbettia, certu – venire a d., certai, brigai; – nacque un gran d. fra loro, fiat nasciu unu certu mannu intre issus.
Doglianza, s.f. chèscia, lamentu – esprimere le proprie d. sul conto di qualcuno, espressai is proprias chescias contra de calincunu.
Eccellere, v. intr. estremai, propassai – eccellere nel campo della musica, estremai in su campu musicali; – eccelle sugli altri per maleducazione, propassat is aterus po scurreggimentu.
Eccelso, agg. e s.m. primorosu, soberanu – le sue e. virtù, is virtudis primorosas suas;– l’Eccelso, su Soberanu, Deus; – gloria a Dio negli eccelsi, gloria a Deus in is celus.
Eccentricità, s.f. stramberia, stravaganzia – è noto a tutti per la sua e., ddu conoscint totus po sa stravagànzia sua.
Eccentrico, agg. strambu, strambeccu – un uomo, un comportamento e., un’omini, unu cumportamentu strambu.
Eccepire, v.tr. oppòniri, oppugnai – non ho nulla da e., no tengiu nudda de oppòniri;– la difesa desidera e.?, sa defensa bolit oppugnai?
Eccitare, v.tr. scinizzai, insuzzuligai – e. l’appetito, insuzzuligai s’appetitu; – bevande, cibi che eccitano, bevidas, mandiaris chi scinìzzant.
Eguagliare, v.tr. 1. rendere uguali, livellare, pareggiare, ugualai, agualai – e. un primato, ugualai unu primatu; – la morte eguaglia tutti, sa morti ugualat a totus 2. rendere uniforme, apparixai – e. una siepe, e. l’erba di un prato, apparixai una cresuri, s’erba de unu pardu.
Elencare, v.tr. allistai, elencai, fai sa lista de – e. gli iscritti al partito, fai sa lista de is iscrittus a su partidu; – e. i volumi della biblioteca, allistai is librus de sa biblioteca; – e. le virtù de una persona, elencai is virtudis de una persona.
Estasi, s.f. estasi, incantu, axeliu, incantamentu – andare in e. davanti a un quadro, andai in axeliu ananti de unu quadru;
Grinta, s.f. cilla, azza, alidanza – un atleta che ha g., un’atleta chi tenit alidanza; –una g. da far paura, una cilla de fai a timiri.
Impulso, s.m. impulsu, impulsioni, frénia – dare i. all’ industria, al commercio, all’arte, donai impulsu a s’industria, a su commerciu, a s’arti; – gli è venuto l’i. di scrivere poesie, dd’est benida sa frenia de scriri poesias; – mi venne l’i. di prenderlo a schiaffi, mi fut beniu s’impulsu de ddu pigaia bussinadas.
Indagare, v.tr.e intr. averiguai, investigai, scruccullai, speculitai, spriculai – i. su una rapina, intorno a un delitto, averiguai asuba de una fura, a ingiriu de unu delittu; – i. le cause di un fenomeno, speculitai is motivus de unu fenòmenu; – i. i misteri della natura, speculitai is misterius de sa natura
Indagine, s.f. averiguazioni, averiguadura, scruccullu – i. storica, statistica, di mercato, averiguazioni storica, statistica, de mercau; – la polizia ha concluso le i., sa polizia hat congruìu is averiguazionis.
Inerte, agg. 1. di persona, inattivo, inoperoso, ozioso, sfainau, sganiu, preizzosu – temperamento i., temperamentu sganiu 2. che è in stato di quiete, di inerzia, inattivu, inerti – materia i., materia inerti; – rendere i. una mina, rendiri inattiva una mina.
Inérzia, s.f. 1. la condizione di chi è inerte, sganimentu, inérzia – un periodo di inerzia assoluta, unu periodu de sganimentu totali; – è di un’i. deplorèvole, est de unu sganimentu disalabàbili 2. La tendenza della materia a non modificare il suo stato di quiete o di moto – andare avanti per i., andai a innantis po forza de inerzia.
Istigare, v.tr. inzulai, istigai – i. uno alla ribellione, a commettere un reato, inzulai unu a sa rebellioni, a cummìttiri unu reatu.
Lungimiranza, s.f. abbistesa, previdenzia – la l. di una legge, sa previdenzia de una lèi.
Lusinga, s.f. imbràmbulu, imbrìmbinu, frandigu, losinga – attirare, conquistare con l., attirai, cunquistai cun frandigus; – cedere alle l., arrendirisì a is losingas; – l. d’amore, frandigus di amori.
Lusingare, v.tr. imbrallocai, imbrìmbinai, imbrambulai, frandigai, ingrangulai, ingreghiai, losingai –l. gli elettori, imbrallocai is elettoris;- la sua approvazione mi lusinga, su consensu suu mi onorat.
Lusingatore, agg. e s.m. ingranguleri, ingreghiadori, frandigadori, losingadori – parole lusingatrici, fueddus losingadoris; – donna lusingatrice, inviscadora.
Ostinarsi, v.intr. ostinaisì – o. a negare, a non rispondere, ostinaisì a negai, a no respundiri; siostina a voler avere la ragione, si ostinat a bòliri s’arraxoni.
Ostinatezza, ostinazione, s.f. ostinazioni, barrosìa – o. nel chiedere, nell’insìstere, nel negare, barrosìa in su domandai, in su insìstiri, in su negai.
Ostinato, agg. tostorrudu, accanìu – è o. come un mulo, est tostorrudu che unu mulu; – giocatore,
fumatore, bevitore o., giogadori, fumadori, buffadori accanìu.
Pegno, s.m. prenda – dare in p. qualcosa, donai calincuna cosa in prenda; – monte dei p., monti de is prendas; – l’anello di fidanzamento è un p. d’amore, s’aneddu de fidanzamentu est una prenda di amori.
Parzialità, s.f. parzialidadi, prazzebas – non faccio p. per nessuno, no fazzu prazzebas po nisciunus.
Scontroso, agg. angulosu, arrevesciu, arrebeccu, strugnu – una persona riservata e un po’ s., una persona reservada e unu pagu strugna; – una risposta s., una resposta arrovescia
Sconvòlgere, v.tr. confusionai, conturbai, scuncertai, avolotai, atropegliai, trumbullai – la traversata mi ha sconvolto lo stomaco, sa traversada m’ hat trumbullau su stògumu; – un incontro che ha sconvolto la sua esistenza, un’attoppu chi hat confusionau s’esistenzia sua; – tutte queste novità mi sconvolgono, totu custas novidadis m’atropegliant.
Soverchiare, v.tr. subercai, sorbai, sobrai – l’acqua del fiume soverchiò gli argini, s’aqua de su frùmini hiat subercau is arginis.
Stesura, s.f. sterrimentu, stérrida, passada – la s. di un contratto, sa stérrida de unu cuntrattu; – la prima s. di un romanzo, sa primu sterrida de unu romanzu; –devo fare l seconda stesura del colore, depu donai sa segunda passada de tinta.
Tollerare, v.tr. baliai, tollerai, sopportai – t. tutte le religioni e tutti i culti, tollerai tot’is religionis e tot’ is cultus; – un farmaco ben tollerato dall’ organismo, una mexina tollerada bèni de s’organismu; – non riuscire a t. una persona, no arrenesciri a sopportai una persona; – non t. soprusi, ingiustizie e imposizioni, no tollerai prepotenzias, ingiustizias e imposizionis.
Vantaggio, s.m. vantaggiu, giuamentu, torracontu, profettu, pròi – sa trarre v. da ogni situazione, ndi scit recabai giuamentu de dogna situazioni;- se si paga in contanti si ha il v. del 10%, si si pagat in contanti ddui est su sparagnu de su dèxi po centu;- i v. e gli svantaggi di essere scàpolo, is vantaggius e is disvantaggius di essiri bagadìu; – è arrivato al traguardo con due minuti di v., est lompiu a sa raia cun duus minutus de vantaggiu.
Si osserverà una ricchezza lessicale per più d’uno inaspettata o almeno dimenticata; si apprenderà una ricca sinonimia, si verificherà come assai spesso accanto all’italianismo o alla voce culta, sia presente, per un medesimo significato italiano di partenza, anche una o più voci tradizionalmente sarde.
È solo dunque attraverso la frequentazione, la dimestichezza, l’abitudine e comunque la disponibilità di uno strumento di consultazione – di buon valore quale è questo – che si può pervenire a una consapevolezza delle reali possibilità di una lingua, laddove queste restino incerte e sottovalutate, celate dall’oblio.
Se la lingua sarda dovrà, come si auspica, entrare a far parte dei curricula didattici nelle scuole dei diversi gradi e ordini, uno strumento come questo è di primaria importanza tanto per i discenti quanto per i docenti, perché gli uni e gli altri possano rientrare nel più certo possesso di qualcosa che, così tante volte, si staglia sullo sfondo della memoria passiva, senza che si lasci ad afferrare pienamente. Per più d’uno, questo strumento servirà a riattivare una memoria sopita; per molti altri avrà invece l’effetto di una sorpresa: quella della ricchezza di un patrimonio, fatto di parole, più ingente di quanto non lo sospettasse, e con un’estensione, per tante voci in esso presenti, che va al di là delle formule consunte e banali e dei ristretti ambiti di basso registro cui spesso le parole della nostra lingua sono confinate da una condizione sociolinguistica – e socioculturale – di subalternità.
Il vocabolario di Giovanni Casciu è dunque uno strumento importante e utile all’interno del dibattito sulla lingua sarda, e nei confronti dei tentativi che si vanno oggi facendo per il recupero, vivo e non solo accademico, di essa; affinché la nostra lingua venga impiegata anche al di là dei limiti in cui sempre più viene ridotta. Recuperare una lingua – e il suo lessico! – è infatti recuperare una libertà e, insieme, cercare di por fine, o almeno di arginare una marginalità. Significa eminentemente stabilire e riconquistare una segmentazione originale dell’universo del significabile, una specola diversa da cui guardare il mondo, un ulteriore e particolare rapporto con la realtà.
È stato qui raccolto materiale per un dizionario dell’uso rivolto all’attenzione di chi voglia affinare la propria conoscenza del Sardo nella sua variante campidanese (quella che conta, potenzialmente, il numero più elevato di parlanti), o di colui che voglia controllare e verificare la conoscenza che di già possiede. Inoltre, ed è questo un altro dei suoi pregi maggiori, viene attuato, per mezzo del lavoro di Giovanni Casciu, non solo il recupero e la registrazione del lessico tradizionale, ma viene pure censito, acquisito e accettato un lessico nuovo o comunque di innesto più recente: quello derivato dall’introduzione nel patrimonio sardo di italianismi di derivazione e acquisizione moderna e di o più o meno fresca data. È, con ogni evidenza, un settore e un capitolo delicato questo, non certo esente da rischi, qualunque sia il modo con cui si voglia agire nei confronti di questo problema: cioè nei confronti della dilatazione e del rinnovo, così spesso necessario e consequenziale al mutare e al progredire dei tempi, del repertorio delle parole utilizzate e da utilizzare. Si può infatti cadere, a questo proposito, in due diversi e opposti eccessi: o quello di fossilizzare la lingua su di un passato ormai perento e non più rispondente alle necessità reali dell’oggi, rischiando così di fallire nel progetto che miri a un Sardo quale lingua realmente viva e d’uso comune e per ogni ambito d’uso della modernità; oppure, sul versante opposto, si può correre il rischio contrario, che è quello di aprire supinamente la porta all’entrata e all’irrompere in eccesso di voci d’accatto che finirebbero per snaturare la lingua sarda e di farne un’appendice, al più connotata e peculiare, della lingua da cui il Sardo attinge, dell’Italiano. Giustamente ha dunque posto il problema Giovanni Casciu; ed egli è quindi stato pronto ad accettare, nel lessico campidanese, voci che forse potrebbero far storcere il naso al purista.
Ma il rischio di ‘snaturamento’ si evita certamente, quando, nel medesimo tempo in cui si censiscono e si acquisiscono parole nuove ed esogene, si viene a ristabilire e a ricordare anche l’esistenza e quindi l’impiego di parole che invece stanno sulla soglia del nostro patrimonio, ma rivolte verso l’uscita, o che magari tale soglia l’hanno già varcata, e sono perciò andate oramai perdute o stanno per esserlo. Voglio dire insomma che il rischio di snaturamento mediante l’ingresso di voci nuove provenienti dall’Italiano si evita quando si trattengono nel patrimonio lessicale parole che sono in pericolo di esserne sottratte, per logorio, ma soprattutto per un oblio che cede al maggior prestigio della lingua sovraordinata. La compresenza di novità e tradizione favorisce pertanto la vivacità, ma anche l’essere stesso di ogni lingua e la sua dinamica: attraverso questo confronto si può dare infatti luogo a una vera e propria innovazione originalmente creativa della lingua; che è spesso proprio ciò che manca ad ogni idioma che va deteriorandosi e raggiungendo il grado regressivo di ‘dialetto’. E questo tanto più è vero per il Sardo – Campidanese compreso – che, sebbene oggi se ne sia dimenticata la storia, una storia ben la possiede, col suo dinamismo e con i suoi ripensamenti. Ed entro questa storia, se è pur certo e noto che una parte cospicua del lessico sardo è di provenienza iberica (catalana e castigliana), è vero altresì che il Sardo ha avuto un contatto ininterrotto, dal medioevo ad oggi, con la lingua italiana, dalla quale ha tratto non poco del proprio lessico; ed anzi dal secolo XVI fino al principio del secolo XX, l’Italiano ha costituito il serbatoio del registro colto e letterario del Sardo; soltanto in epoca più recente, a cominciare dalla fine dell’Ottocento, si è cominciato a scandagliare il lessico depositato nella intrinseca tradizione sarda e in vigore nell’uso comune e ad utilizzarlo anche in sede poetica e letteraria, non senza fatica, incertezza e ripensamenti. Dunque sarebbe antistorico e controintuitivo negare l’accesso, in un dizionario dell’uso quale questo vuol essere, agli italianismi; e sarebbe stolto scandalizzarsene o farne bersaglio di censura: tanto più che non di rado accanto alla voce o alle voci italiane vengono registrati gli equivalenti sardi più tradizionali, magari con indicazione e specificazione dei diversi valori semantici che sono attribuibili all’una o all’altra voce.
Allestire un dizionario è dunque anche tutto questo: non è mera compilazione e raccolta, è anche scelta e programma. Scelta e programma tanto più difficili per il Sardo che non ha alle proprie spalle una vera tradizione di intervento regolatore e normativo, o che solo episodicamente lo ha avuto, e che questo vocabolario Italiano-Campidanese, approntato dal Casciu, invece contribuisce a compiere.
Se certo è vero che un dizionario di per sé solo non può fare tradizione, in questo senso specifico, né supplirne la mancanza, è pur vero certamente che esso costituisce un avvio, una presa di coscienza e di posizione: un vocabolario è più che un suggerimento, e può comunque, come nel caso presente, costituire un sicuro punto di partenza, di riferimento e di confronto.
Un altro problema che l’Autore si è proposto di definire è stato quello della variante del Campidanese da scegliere: la soluzione proposta è quella di non avere optato per nessuna subvarietà particolare o locale del Campidanese, l’Autore invece qui preconizza uno standard per questa varietà meridionale del Sardo, pur se non manca la registrazione di determinate varianti, specie fonetiche, si veda, p. es., la voce Biancospino:
Biancospino, s.m. corarviu, coràviu, coàrviu – il b. fiorisce in aprile, su corarviu frorit in abrili.
Il Campidanese dunque: che è una delle due macrovarianti della lingua sarda, una di quelle che non può non contribuire in maniera determinata alla formazione di una lingua unitaria di impiego, e che comunque deve costituire insieme con l’altra macrovariante, il Logudorese, uno dei poli della correlazione dialettica della sardità linguistica, in vista di un’integrazione armonica di queste due varietà esistenti in gioco; perché io credo che una tale integrazione e unitarietà, per il Sardo, è da pensare e da prevedere come dilatata e spostata nel tempo e da realizzare non immediatamente: ma solo guardando in prospettiva. E dovrà, tale integrazione, essere compiuta e messa in pratica non tanto dagli studiosi o da un movimento dall’alto, ma soprattutto dagli utenti: dagli utenti scelti magari, per qualità e capacità di inventiva e di creatività, di intuito e di intenzione, ovviamente; insomma un’integrazione da attuare nel libero gioco dell’uso e dalle scelte che si sarà capaci di fare: senza in alcun modo imposizioni di sorta, senza predilezioni immotivate o mal motivate per l’una o per l’altra variante: per il Logudorese o per il Campidanese; gli studi e gli studiosi, gli artisti e i parlanti assennati potranno semmai controllare questo processo, o indirizzarlo; potranno proporre suggerimenti e stimoli appropriati, ma non dovranno sostituirsi alla libertà di un gioco che ha dimensioni più vaste della linguistica o della lessicografia medesime. E questo tanto più nella prospettiva per la quale se anche si può auspicare una lingua sarda sovra locale, una “lingua tetto”, questa non dovrà andare a scapito delle varietà locali, ‘micro’ o ‘macro’ che esse siano, ma queste dovranno convivere dialetticamente con essa ed anzi costituirne la fonte di perenne alimentazione, soprattutto a livello lessicale ed espressivo.
A tal fine questo lavoro può già costituire un contributo prezioso.
maurizio virdis