Immobili tra-passi

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agritte, Ritratto di Madame Récamier

Il passato sembra non voler passare, ma il nuovo avanza sotto mentite spoglie: e non è detto che sia il meglio ciò che esso ci propina. Ormai siamo presi fra un’estetica mancina da un lato, che replica la sua coazione a ripetere perché incapace, nel suo specchio di narciso, di autosospendersi, e l’appiattimento dall’altro di chi si spalma sull’etica corrente di diritta perché ha perso le antiche parole, e soprattutto il loro significato di lunga durata, e spera di poter stare a galla sulla superficie di un mare in cui si può solo affogare quando si rinuncia a pensare, perché pensato non ha mai, ma ha solo servito fallaci oracoli.

Ecco, il pensiero, è questo, mi pare il grande assente, oggi. Chi analizza più alcunché? Si fanno soltanto dei mimi (poco mimetici in verità) del pensiero: fumus cogitandi e niente più; illusionismi interpretati in vacue liturgie: nuova ritualità dell’assenza, bei gesti d’antan, manifesto vitalismo di un ritorno eterno che si morde la coda.

Manca la buona analisi del reale, che non sia il coatto incartapecorimento, o l’aggiornamento di verba consumpta sul tessuto dell’abominevole presente che tutto divora. Il pensiero è tornato talmente debole che ha trangugiato il pensatore, caduto nella trappola di questa retorica che vorrebbe far credere che il pensare è solo una grande narrazione: come se la narrazione fosse assenza vacua di pensiero….

Già, narrare, narrar(si): ma narrare è raccontare storie ‘vere’, contarle, computarle, non ripetere i riassunti di un bignami mal appreso, o delirare ermeneutiche dal gusto stantio. È portare alla memoria il conosciuto, su connottu, sul filo diegetico appropriato, che scevera le ragioni, come se ogni oggi fosse l’ultimo, pronto a preparare un’altra vita.

Invece siamo solo sull’itinerario di un andare a tentoni. E intanto perdiamo l’essere nello stillicidio del vivere il si vive: moriamo senza trapassare.

narrare il politico

Narrare la politica, si dice oggi,  narrare la società per adire al politico, perché la politica non sia solo una tecnica e non resti chiusa nell’algidità dei giochi incomprensibili dai più. Il racconto genera passione, crea meccanismi di rispecchiamento, individua il sé e riconosce l’altro, crea il coinvolgimento.

Ma senza programmi chiari, comprensibili e recepibili rischia di essere soltanto una nuova retorica che maschera l’assenza, un nuovo ‘comizio’ che cattura voti e non li colma né li interpreta.

Se narrazione deve essere, deve esserlo pienamente: il racconto dispiegato in pienezza è applicazione del narrare alla vita, è azione si spera e presume positiva (P. Ricoeur). Allora deve essere proposta, basata non su formule alchemiche, ma sulla comprensione che il récit sa e può essere: deve essere.

Ciò non elimina né marginalizza la scienza del politico, ma la sussume entro sé, la orienta, la propone alla vita.

 

La rivista Portales

«Fin dal momento della sua prima progettazione, “Portales” è stata definita, dai molti partecipanti alle riunioni in cui si cercava di chiarire la sua fisionomia, “la rivista dei giovani”». Con queste parole si esprime Giovanni Pirodda nell’editoriale che apre il primo numero, e la vita ormai decennale, della rivista Portales, nell’agosto 2001. Continua poi così l’editoriale: «In questa prospettiva realmente essa è stata ideata e voluta anche dal gruppo di docenti del Dipartimento di Filologie e Letterature moderne  (alcuni dei quali assai meno giovani) che hanno incoraggiato e sostenuto l’iniziativa».

Portales nasce dunque nel 2001 nell’ambito universitario delle facoltà umanistiche, sotto l’impulso e l’intuizione di Giovanna Cerina, il cui ingegno e la cui amicizia mi è qui caro ricordare. Diretta da Giovanni Pirodda e con la vicedirezione di Duilio Caocci, Portales ha una folta redazione composta da giovani docenti, ricercatori, dottori, dottorandi, studiosi. Edita per i primi due numeri dall’editrice Poliedro, la rivista è, dal terzo numero e fino ad oggi, pubblicata da AIPSA Edizioni.

Una rivista giovane in quanto non solo rivolta ai giovani, ma in quanto giovani studiosi costituiscono parte cospicua e propulsiva della redazione della rivista, benché non manchi la partecipazione e la guida di docenti, maestri, intellettuali e studiosi di più matura età. Giovani che sono legati eminentemente, dal punto di vista della ricerca e degli interessi scientifici e intellettuali, al Dipartimento di Filologie e Letterature moderne  dell’Università di Cagliari che ne dà il patrocinio, e al dottorato che vi è collegato. Una rivista di studi soprattutto letterari è dunque Portales, anche se con una rilevantissima attenzione alle altre arti e al cinema. Lo sguardo letterario è rivolto ai problemi e alle espressioni più diversi  e prende corpo soprattutto nella sezione Saggi. Saggi che si raccolgono e si coagulano, di numero in numero, attorno a un interesse tematico scelto e definito (la guerra, il limite, la trasposizione di codice semiotico, regole e trasgressione…..).

Una sorta di palestra, di alto livello, in cui studiosi diversi, propongono riflessioni ed elaborazioni su temi e problematiche letterarie, testuali e della testualità, anche con prospettiva metodologica  differente, a seconda dei vari percorsi di studio e degli interessi personali di ciascuno. Fermo restando che è il fenomeno e i fenomeni letterari ciò che la rivista ha primariamente a cuore e che costituisce il suo interesse ed obiettivo primario.

Ho detto poc’anzi palestra per giovani, ma tale definizione è ben lungi da essere esaustiva: se infatti Portales offre ai giovani possibilità di diffondere e far conoscere i risultati della loro ricerca, ciò avviene pur dentro un progetto e un obiettivo culturale ben riconosciuto e programmato. E che è quello di  gettare collegamenti molteplici. Innanzitutto quello di  proporre un contatto fra mondo dell’Accademia, sia pure nella sua componente per lo più giovanile, e il mondo intellettuale più in generale, con particolare sguardo al mondo della Scuola e degli insegnanti, e va inoltre a questo proposito notato che un buon numero dei redattori e collaboratori di Portales gravitano in diverse maniere nel mondo della Scuola. Un ponte che, specie nel nostro Paese, è sempre più auspicabile, per colmare divari e diffidenze reciproche, spesso di lunga data; e prendere invece esempio da alti paesi, penso alla Francia per esempio, dove l’osmosi fra queste due sezioni dell’istruzione è più frequente e da più lungo tempo assestata. Ne guadagnerebbero entrambi i lati di questo rapporto che si auspica felice e di agile presa.

L’altra relazione che il progetto culturale di Portales vuole allacciare è quella fra la letteratura e le altre arti, rapporto curato e collocato soprattutto nella sezione Eventi. Significativamente in una sezione così denominata: in quanto tale relazione fra campi della creatività non vuole essere studiata come oggetto di interesse in sé e per sé: la rivista resta eminentemente una rivista letteraria, nel senso tutto propriodi rivista di studi letterari e sulla letteratura. Il rapporto con le altre arti vuol esser visto invece come fatto e dato di attualità, come segnalazione, ma soprattutto come riflessione intorno ad accadimenti, eventi appunto, d’ambito artistico prevalentemente evenienti in Sardegna. In questo senso e in questa sezione Portales rivendica una dimensione di militanza, pur pacata, e dismette l’abito più severamente accademico per gettarsi nel mare dell’accadere, dove va alla ricerca di episodi significativi di interazione fra letteratura e arte, col proposito di segnalare al suo target, al suo pubblico, fatti di rilievo per la vita culturale, soprattutto regionale pur con respiro ampio. Segnalo fra gli eventi discussi e riportati, la legge regionale sul cinema, l’evento FestArch tenutosi recentemente a Cagliari, il conferimento della laurea honoris causa a Maria Lai, il convegno internazionale  “Cantami di questo tempo” dedicato alla poetica letteraria e musicale di Fabrizio De André, la manifestazione Time in jazz con intervista a Paolo Fresu; il centocinquantesimo anniversario della nascita di Mozart.

È bene a questo punto  sapere che Portales ha alle spalle una associazione che porta lo stesso nome (Portales appunto) promotrice e attuatrice essa stessa di eventi culturali, anch’essi per lo più letterari, ma di apertura ampia nei confronti dell’attualità e alla, ripeto, militanza culturale, tesa a sottolineare quando non direttamente a creare, nonché a portare all’attenzione del pubblico intellettualmente curioso, accadimenti di fenomeni che costituiscono tasselli importanti del fare culturale del presente, di una regione e di una città che scopre in sé fermenti attivi e la capacità di evocarli e di concretizzarli nella propria materia mentale e attiva.

Ne vien fuori una prospettiva al medesimo tempo innovativa e tradizionale, nel senso che si rifugge il nuovismo o la ricerca di ciò che fa effetto eclatante ma spesso effimero. Questa linea editoriale e fattiva insieme, cerca piuttosto i segni, i fenomeni e gli eventi che abbiano e dimostrino una solidità di fatto, magari meno visibili, ma suscettibili di una riflessione meditata. Ri-pensare Mozart per esempio, pur nell’occasione di un anniversario, significa nei contributi presentati, ripensare, fra l’altro, i rapporti fra linguaggio musicale e linguaggio poetico, individuare nel linguaggio musicale un’inopinata capacità di invertire il significato del testo di partenza o l’ideologia affermata e assestata in cui il testo o l’ipertesto si colloca. Discutere sull’evento di FestArch, anche attraverso interviste, significa riflettere e acquisire conoscenze e ri-diffonderle in relazione a un’attività progettuale, al rapporto città territorio, al rapporto dell’architettura con la più ampia dimensione sociale in maniera tale da poter/dover andare oltre l’evento festival e non costringere le intenzioni di chi lo ha organizzato pensato e attuato, dentro le strettoie dell’evenemenzialità dell’evento stesso, e contribuire invece a spargerne i germi e i fermenti. Allo stesso modo parlare di Fabrizio De André non significa fare facili mescidazioni fra il colto e l’effimero, ma, così come è stato nel convegno a lui dedicato, acquisire, in forma se non inedita certo non assiduamente frequentata, materiali che non sempre e non facilmente si offrono a una riflessione accademica, ma che a tale riflessione vogliono con decisione essere ricondotti. Ed anche in questo caso si tratta del rapporto privilegiato musica-parola: fatto che slarga le spesso logore definizioni e circoscrizioni del concetto medesimo di letteratura. Così come era stato, e qui ripeto, a proposito dell’anniversario mozartiano. Niente di celebrativo: o meglio, partendo da uno spunto celebrativo e/o di cronaca culturale, si giunge a intessere dialoghi fecondi attraverso uno spazio ampio della produzione culturale.

 

Ritorniamo però alla sezione saggistica, che è quella che a mio parere, caratterizza meglio la nostra rivista e le conferisce il miglior grado di qualità. Ho già detto che questa sezione è impostata su di una ragione tematica. Sulla scelta di un tema intorno a cui si coagulano i diversi interventi e saggi proposti ai lettori.

Orbene attraverso il setaccio tematico che orienta di volta in volta le diverse proposte saggistiche, si introducono e si veicolano prospettive e direzioni eccedenti le costrizioni tematiche: il tema proposto che dovrebbe/vorrebbe già essere una definizione cui adeguarsi, finisce per risultare invece, per e dall’apporto di ciascun collaboratore, un qualcosa da ri-definire e precisare, una cornice generale da riempire e cui attribuire alcune accezioni possibili.

D’altra parte, ed anche di converso, ciò non vuol né va a significare, per ciascun collaboratore che interviene nella rivista, né una costrizione né uno scantonamento rispetto alla scelta tematica, ma costituisce invece una possibilità di orientare linee critiche e di ricerca secondo una determinata prospettiva: ciò che, a mio parere ed anche, se me lo si consente, per mia esperienza, costituisce una prospettiva ed un indirizzo del tutto positivo che riorienta il già detto verso considerazioni impensate, e comunque induce a proseguire e (ri)elaborare e infittire su di un argomento, riflessioni che si sarebbero pensate, da parte degli autori ma anche di eventuali lettori, già esaurite e sistemate. Impostazione assolutamente feconda dunque e  elasticamente e virtualmente rinnovabile e riscrivibile all’infinito. La scelta tematica o tematologica, se si vuole, promuove insomma ulteriori elaborazioni concettuali su prodotti di ricerca già, in genere, altamente definiti.

Un tema come quello della guerra permette, per esempio e fra l’altro, di rivedere un tema come quello dei testi di Bono Giamboni, autore poco frequentato peraltro, da una prospettiva specifica, quella della guerra interiore; di insistere sulla psicologia come anche agonismo all’interno di una discussione più ampia sulla guerra e sulle sue devastazioni, così che l’io diventa il campo di una battaglia anche feroce devastante, come ogni guerra è. Ma allo stesso tempo propone ed aggiunge al panorama tematico una prospettiva inusitata e non frequente né frequentata: non ci sono solo le guerre militari in senso stretto, ma anche guerre interiori per le quali non può che sfruttarsi un repertorio noto, la descrizione bellica, con fini morali e psicologici. Il che va oltre la mera dimensione psicologico-allegorica, così come va oltre il mero tematismo bellico, e genera oggetti di pensiero nuovi.

Sempre in ambito tematologico segnalerei il n° 8 dedicato, nella sezione saggistica al tema “limite e trasgressione”. Tema che, nonostante la definizione e la proposizione a tutta prima, non è dedicato a questioni filosofiche o morali o politiche. È dedicato invece tutto a quel limite che è costituito, costitutivo ed intrinseco dal linguaggio, incapace di poter dire tutto il significato che nelle intenzioni si vorrebbe comunicare;  ma che è pure, il linguaggio, e quello poetico primariamente, la scappatoia per uscire da tale limite, in quanto trasgressione rispetto ai suoi stessi limiti: il che, vorrei aggiungere, mi pare slargare e travalicare i limiti stessi di quel che noi siamo adusi pensare e chiamare poetica e letteratura. Tanto più se pensiamo alla serie di saggi qui compresi, tutti di carattere metalinguistico e metaletterario che caratterizzano la sezione di questo numero: si va da interventi sul linguaggio e sulla sua insufficienza nella tragedia greca, e sulle riflessioni sull’uso linguistico e sullo stile di Giordano Bruno quale supporto primario e perfino costitutivo della trasgressione del linguaggio scolastico antiquato che inibisce la vie euristiche ed ermeneutiche in direzione di acquisizioni conoscitive più nuove e libere, per arrivare fino alla agiografia, che ricostituisce ex novo antiche narrazioni mitiche limitandosi e trasgredendole con eccedente eccezione, o alla commistione dei generi nella letteratura  popolare inglese quale infrazione del canone letterario paludato e assestato, che permette di attingere dimensioni psicologiche inusitate e inattese. Ed ancora la traduzione letteraria, al tempo stesso prigione ed evasione, a seconda dell’uso che se ne fa e dell’ingegno che la usa e che permette la fondazione di nuova letteratura e di nuove maniere. Così come attenzione al binomio limite/trasgressione non può non esserci quando si tratta dei fenomeni dell’avanguardia e delle riflessione che essa fa, come è stato nel Novecento, sui mezzi che la produttività artistica impiega.

Tutto ciò però non è affrontato, dagli autori dei diversi contributi che ho citato, con taglio teorico né tanto meno teoretico. Il tutto resta nel solco di un’analisi letteraria di singoli testi e/o fenomeni letterari. Ma la riflessione teorica nasce in controluce proprio dall’analisi pratica e direi pure filologica dei testi in oggetto. Un segno della maturità acquisita dai tempi odierni, dopo tanto furore teorizzante, ma con la fruttuosa messa a frutto di tali furori, stemperati ma proprio per questo vivacissimi. In questo senso può dirsi che la nostra rivista si fa militanza critica, e in doppio senso: sia perché usa gli strumenti critici in modo maturo, sia perché si fa critica implicita dei metodi critici.

Benché tutto ciò non sia  una novità in assoluto, e seppure Portales non teorizzi, almeno apertamente, su ciò (ma le sedute di redazione sono tanto spesso una fucina dinamica di proposizioni dialettiche), sebbene ciò, dico, il dynamos della rivista crea novità, la sottende al lettore. E soprattutto contribuisce a un campo, questo sì frequentato, quello della tematologia, che trova difficoltà a definirsi, e che, specificamente, si definisce, all’interno della teoresi letteraria, proprio nel suo farsi e (auto)proporsi, timidamente o sfacciatamente. Frutto non repentino, questo fare, ma che ha invece alle spalle una scuola e la sua dinamica, i suoi tentativi, le sue ansie: quale la Scuola del dottorato, cui la rivista spesso si rapporta e da cui attinge energie, che alla comparazione letteraria, alla tematologia e alla teoretica del testo ha dedicato assai delle sue eergie, che qui trasbordano e trasudano.

 

Anche la veste esterna e grafica di Portales costituisce un aspetto non secondario di questa rivista. Innanzitutto le dimensioni, un po’ eccentriche rispetto alla norma, forse eccedenti, e qualcuno potrebbe dire anche controproducenti sotto il profilo pratico, nel senso del maneggio materiale dei volumi della rivista, che costringono il lettore a una postura fisica nel tenerli materialmente in mano, cosa che si traduce poi in postura e atteggiamento mentale che può trasformare la scomodità oggettiva in sottile piacere. E tuttavia queste dimensioni ne costituiscono una caratteristica di visibilità, contrassegnando un prodotto che non vuole essere puramente accademico, pur restandolo pienamente. Forse un vezzo, qualcuno potrebbe anche dire, ma non certo una volontà snobistica, forse il segnale, anche questo, di un collegamento: con riviste d’arte, con riviste militanti, con un pubblico curioso, che non ama solo le biblioteche, ma che vuole riversarle sul mondo e che pensa l’intellettualità come un’azione: un pubblico, se non sta male dirlo, meno accigliato e più fresco che desidera forme nuove. Questo formato originale e meno solito, e magari estroso, ma contenuto ed elegante, costituisce un segnale in più di proposizione e una strizzatina d’occhio ai lettori. Ma l’aspetto grafico non si ferma qui. V’è ben altro: il contenuto di immagini che sempre corredano tutti i numeri di Portales costituisce una parte cospicua della rivista, un materiale non più di parole ma di foto, di disegni, di grafie varie, di riproduzioni di oggetti e manufatti artistici. Certo tutto ciò impreziosisce esteriormente, di volta in volta, i diversi volumi, dà loro una leggerezza che fuoriesce dalla monotona pagina stampata di parole e frasi. Ma costituisce pure un contenuto in più, una proposta di ulteriori contenuti culturali e intellettuali per i lettori che si pongono in dinamica interattiva. In tale scelta l’estetica del supporto materiale, ossia i fogli rilegati in volume e così impreziositi, si congiunge con una scelta estetica di tipo più immateriale e discorsiva. Logica.

 

La sezione Lingue culture merita poi particolare attenzione. Questa sezione è un po’ un ponte gettato fra cultura sarda e culture altre, minoritarie e marginali o no che esse siano. Alla Sardegna è dedicato comunque uno spazio cospicuo e su molte dimensioni e interessi: ancora una volta certo quelli letterari, importanti per esempio le note di G. Pirodda su testi e strumenti bibliografici per ricostruire e in certa misura costruire la storia dell’attività letteraria in Sardegna, o la rassegna bibliografica relativa a Grazia Deledda offerta da Piero Mura. Ma ampio spazio è dato pure a problemi d’altre culture in qualche modo eccentriche, senza però che questa eccentricità sia sottolineata o inseguita. Si tratta di trovare esperienze consimili a ciò che in Sardegna  si va facendo o su cui si va riflettendo. Uno spazio che esce, almeno in parte, dalla   tematica strettamente letteraria (che per altro continua a esservi ben presente) per affrontare tematiche culturali diverse sul filo di una prospettiva interdisciplinare. Troviamo discussioni e proposte sulla musica popolare sarda con una prospettiva etnomusicologica, interventi demologici sulle feste popolari isolane, accostate a interventi sulla pittura vascolare greca fra antropologia e semiotica; si discute dell’esistenzialità intrinseca alla scrittura plurilingue e dell’identità multipla; si presentano rarità e inediti. Una sezione più leggera rispetto alle altre, che non significa certo meno seria. Una sezione che affronta con competenza e con attiva partecipazione allo stesso tempo temi diversi con più brio e con maggior disinvoltura. E connette la riflessione più rigorosamente e strettamente accademica con una tematica interdisciplinare, fitta però di interconnessioni rispetto a quanto viene proposto nella sezione saggistica, e che a questa serve di stimolo per far in modo di centrare i saggi letterari su una prospettiva più ampia e più ricca.

Non va infine dimenticata una sezione ampia e impegnata di recensioni: anch’esse essenzialmente con attenzione letteraria, rivolte però non solo alla critica o alla  saggistica, ma pure alla letteratura attiva: romanzi, poesia, traduzioni, premi letterari, riviste, convegni.

 

Dunque una rivista accademica e con forte caratterizzazione scientifica, ma col piglio, ripeto, di una militanza culturale che infrange limiti troppo spesso costrittivi di una certa tradizione, e comunque animata dall’intento di collegare quanto si studia ed è oggetto della ricerca scientifica e universitaria con un mondo culturale più ampio, con la società civile colta che si pone problemi sul senso di far cultura nel mondo e nell’esistenza. Una rivista che ha il pregio di guardare e analizzare l’attività e la problematica letteraria e intellettuale della Sardegna, senza cadere nel regionalismo, ma anzi assecondando e al promuovendo gli esiti di questa felice stagione della cultura sarda, che oggi matura emancipandosi da uno sguardo eccessivamente rivolto a sé ma col timore di essere sé e in sé, per acquisire sempre più un sé maturo che può guardare l’altro e gli altri dalla propria intima e più radicata specola.

Maurizio Virdis

 

Laicismo come narcisismo piccolo borghese

Be’, provate a leggere la posizione del comunitarismo; forse lascerete le sterili parrocchiette e stupidi ritualità, e si potràricominciare a pensare. La ragione in efftti ne azzecca tante quante la teologia o la filosia teoretica e altrettanto la scienza. In realtà dietro certo laicismo si nasconde un narcisismo infantile, quello del’no rule no limit’, funzionale alla manipolazione dell’individuo.

da Costanzo Preve: “Filosofia e politica del comunitarismo. Riforma, rivoluzione e conservazione”.

«Le due squadre di calcio identitarie del Dio Sì e del Dio No, infatti, hanno in comune il fatto di non voler discutere in alcun modo il contenuto sociale, comunitario e relazionale contenuto nella parola Dio (come a suo tempo fece Dante Alighieri, oggi abbandonato al pagliaccio politicamente corretto Benigni), ma di discutere unicamente i vecchi argomenti del tutto “innocui”, che si possono riassumere così: da parte della squadra Dio Sì, il fatto che se non si crede non si può neppure più essere morale, tutto diventa relativo, se tutto diventa relativo siamo nel nichilismo, e nichilismo ed immoralismo sono tutt’uno; da parte della squadra Dio No, il fatto che la scienza moderna ha ormai del tutto falsificato la credenza in Dio, e solo poveri di spirito, malati incurabili e babbioni decerebrati possono ancora veramente crederci.

Bisogna ovviamente tenersene fuori. Ma nello stesso tempo non voglio per opportunismo nascondere la mia opinione in proposito, dimensionata ovviamente soltanto nella situazione italiana attuale. Sebbene personalmente non mi possa definire un “credente” (per ragioni in parte greche, in parte spinoziane, ed in parte marxiane), ed agli occhi della CEE (commissione episcopale italiana) potrei essere definito un “ateo”, ritengo che oggi nel dibattito culturale italiano la parte peggiore siano i laiciatei, e la parte relativamente migliore siano i critici del nichilismo di tipo ratzingeriano. Dietro le fanfare scientiste e positiviste degli “atei”, infatti, ci sta la radicalizzazione anticomunitaria del vecchio individualismo iperborghese. E del resto, l’odio verso il comunitarismo (chiamato a volte “populismo”) di costoro è palese. Fra l’Osservatore Romano e Micromega per me non c’è partita. Non riesco a pensare a nulla di peggio di Micromega. Detto questo, metto in guardia dal pensare che quanto ho detto sia il “punto di vista comunitarista ufficiale”. E’ solo il mio punto di vista. E’ assolutamente possibile essere comunitarista e pensarla in modo opposto al mio. A chi però la pensa in modo opposto al mio consiglio amichevolmente un’operazione di storicizzazione, per cui il ruolo dello smascheramento razionalistico della funzione repressiva delle religioni non può essere lo stesso nel 1710 e nel 2010, e per cui oggi l’ateismo è quasi  sempre (non sempre) il mascheramento di un individualismo estremo, di una religione feticistica della scienza, e di una adesione integrale alla forma attuale di ipercapitalismo.

Dopodichè, ognuno la pensi come vuole.»

link all’articolo intero di Costanzo Preve: Filosofia e politica del comunitarismo. Riforma, rivoluzione e conservazione
http://www.comunismoecomunita.org/wp-content/uploads/2010/03/Preve-saggio-secondo.pdf

 

Link a “Psicopolitica: le coppie di concetti” di Federico Stella

E’ soprattutto una questione semiotica, simbolica e di immaginario: strategico, ça va sans dire. la nuova politica dovrà fare uno sforzo semiotico, anziché cercare di vivacchiare su formule stantie che non fanno più breccia né nelle menti, né nei cuori, e ancor meno nell’immaginario. E’ uno sforzo di maturità e di crescita che deve allargare gli orizzonti del pensiero e della riflessione.

Quanto all’articolo linkato, non si tratta di prenderlo totalmente alla lettera, ma di assumerlo come lievito.

Gabriele D’annunzio”l’imaginifico

Gabriele D’annunzio"l’imaginifico" L’Endas e il Teatro Stabile della Sardegna, nell’ ambito della rassegna "Fili e Poesie", d’intesa con il Dipartimento di Filologie e Letterature moderne dell’Università di Cagliari, hanno organizzato per martedì 22 giugno 2010, ore 17.30, nel Ridotto del Teatro Massimo, via De Magistris, una serata tutta dedicata a Gabriele D’annunzio, "l’imaginifico" L’intervento critico è affidato al prof. Sandro Maxia, italianista e dannunzista. Poesie e brani di prosa dell’Autore saranno letti da Rosabianca Cadeddu Rombi e da Marco Spiga, attore del Teatro Stabile della Sardegna. La serata prevede inoltre uno spazio musicale: L’alba separa dalla luce l’ombra, di G. D’annunzio La romanza da salotto nell’ ‘800-‘900" (incontro tra musica e poesia sulle tracce di Francesco Paolo Tosti). Voce : Mario Faticoni, Al pianoforte Riccardo Zinzula Con preghiera di estendere l’invito, si allega la locandina Cordiali saluti Rosabianca Cadeddu Rombi rosabiancarombi@tiscali.ittel. 070488416

Su problema de s’aunimentu de sa limba sarda Il problema della standardizzazione

Intervento di mVirdis al Convegno «Su sardu: limba de vida, traballu e guvernu. Sa proposta de Limba de Mesania»

Laconi, 2 aprile 2005, Centro culturale comunale, h. 17,00

In logus medas e de meda genti, in custu tempus – ma giai deddiora – s’est boghendi a pillu su problema se s’aunimentu o, si dh’oleus nai, desa ‘standardizatzione’ de sa lingua sarda, comenti chi fessit custu su problema, sa tarea e sa faina numeru unu, chi, chene dha portai a cumprimentu, sa limba sarda, sceti po custu, iat a morri deretu.

Deu pentzu chi immoi, in custu momentu anca seus, su problema prus mannu po sa lingua sarda no siat cussu de dha fai bessiri parìvile e de dh’aperperai, de ’ndi circai unu ‘standard’; no est cussu de auniri totu is isceras de is fuedhadas chi si chistionant, ind una fuedhada scéti. Su problema primu cosa, sa chistioni de prus importu chi tenit su sardu, oi chi est oi, est cussa de podi torrai a biviri e de ’nci podi sighiri a aturai in vida, est cussu de si podi spraxiri aintr’ ’e is sardus. Su problema est cussu de un’imparongiu de sa lingua, est cussu de agatai e de cumprovai maneras prus de aggrabu po dh’imparai, ind un’ora che a custa, candu po sa prus parti de is giovanus su sardu est una lingua sempri prus desconnota o pagu connota, mascamenti mein ’s citadis: insandus faci ’e totu custu, s’iat a depi pentzai a maneras e a vetus de annestru diversus e chi s’indullant bort’a borta cuforma a is discentis chi is mastrus s’agatant deinnanti: bollu nai cuforma a su gradu de connoscentzia de su sardu ch’is piciocus podint tenni. E su chi pruscatotu si depi istransiri, su chi no si depi fai est un’imparongiu de su sardu cumenti una lingua istrangia, su chi, a parri miu, iat a donai pagu frutu e pagu cabbali, mascamenti intr’e cussus chi su sardu dhu connoscint prus pagu, e in cussas isceras de pessonis chi funti prus rempellas e arrevescias a dh’imparai. Su chi ’nc’iat a bolli duncas, prim’ ’e totu, castiendi cun mirada didatica, iat essi unu strumbulu beru e de fundoriu po imparai su sardu, un’intzidiu ch’iat a depi andai a su propriu paris de s’imparongiu de sa cultura, de sa scritura, e de s’arti sarda etotu. E totu custu, si cumprendit, movendi de sa lingua fuedhada cumenti est fuedhada abberu in sa realidadi de is bidhas, mein is comunidadis de dogna logu innoi si bivit e si fraigat sa vida de dogna dì, e die pro die, no imbentendusidha. Movendi de sa sabidoria manna e antiga achistia in is costumantzias de sa familia, de sa memoria e de s’istoria minuda innoi est cuau su scrusoxu de sa lingua, chi andat circau e iscobertu. E apitzu ’e innoi si podit o si depit alliongiai su chi eus a nai su ‘valori annuntu’ (il valore aggiunto) de un’impitu prus pensau , arrexonau e meledau de sa lingua, su chi scinti fai is artistas e is poetas, ma no scét’issus: de manera chi, intr’ ’e is atras cosas, si ’nci possat bogai de sa conca de is prus e mascamenti de is piciocus e piciocas, cussu sentidu chi su sardu iat essi una trobea e unu strobbu facia a cosas de prus importu, o peu ancora, una cosa de una vida chi no ’nci est prus arrenconada in s’antigoriu de logus istrintus. Aici de podi contai in sardu no s’impudu de su chi eus perdiu e chi no podit torrai, ma su disinnu de s’incrasi e de manera moderna: A fai biri, ’ollu nai, totu su chi su sardu tenit sa capacidadi d’espressai innanti de sa vida e de is bisongius de oi.

Adhia de sa chistioni de s’imparongiu, un’atru problema est cussu de favoressi e donai àxiu a una produsssioni de iscritura in sardu, mancai de isperimentu. A nai sa beridadi, in custus urtimus annus o dexina ’e annus seus a faci de una produssioni literaria in limba diaderu manna e bundanti e de cabbali: cosa ’ona custa e de aficu meda e chi si lassat isperai po su benidori, mascamenti po ca custa produssioni amustrat sa balentia chi sa lingua etotu portat intragnada, meda prus ancora si pentzaus chi adhia de sa poesia, chi in Sardinna est sempiri istetia acostumada giai deddiora, s’est afortziendi una iscritura de prosa, chi certu est mancu de costuma, ma chi s’est amustrendi sempri prus a s’artària de su proponimentu chi tenit. Seu pentzendi pruscatotu a s’abbilentzia chi tenit cust’iscritura, e a s’atonomia chi portat faci ’e s’italianu, chi a s’italianu sempri prus pagu su sardu dhi depit pagai datziu. Un’abbilentzia, ’ollu nai, e una boluntadi de scrucullai, in mesu a is arrexinis de sa lingua, in su ch’issa tenit chistiu e allogau, in s’arrichesa cuada, una gana, seu narendi, de circai is fuedhus e is peraulas, sa paraula, de nai e po s’espressai; amustrendi e comprovendi cumenti sa lingua sarda siat prus arrica de cantu no si potzat crei. Postu totu custu, su problema est insandus cussu de s’ispaniamentu de totu custa produssioni de iscritura; e prima ’e totu in sa bia de donai giudu e impellida a s’imprenta editora, balenti e atzuda, chi si ’nd’est atuaendi su carrigu de una faina che a custa. E po segunda cosa si depit donai ispicu a sa sienda imprentadora e editora, iat a tocai a dha isprundiri, a ’ndi donai su bandu (a ’ndi fai sa pubblicidadi s’iat a depi nai italianizandu) po ca potzat alcansai s’iscopu, po ca potzat arribbai a logus e tretus, astesiendusì in cussorgias prus mannas e àmparas in foras de is treminis istrintus de is cufrarias chi, mancai apentadas, funti perou casi cuadas in s’umbra si no asut’ ’e terra. Totu custu iat a donai s’idea de su balori e de cali capassidadi teni sa lingua sarda. Su de ispainai totu custu fintzas in iscola, si liat torra a su chi giai fia nendu deinnanti, a propositu de iscola e de imparu e annestru, e iat a sestai mein sa conca de is piciocus, a su mancu is chi tenint prus dilighesa a dh’intendi, arrexonis prus arrexinadas e cumbintas po un’impreu e unu imparu fungudu de sa lingua.

Ateras arrexonis si podint agatai aintru ’e una leada e cund una medida chi siat abberu plurilingue in s’essentzia. Bollu nai unu plurilinguismu chi no siat impitau scéti comenti e un’aìna pratica e de servitziu po is bisongius prus deretus, comenti, po esempiu, podit essi po su fatu ca in custu mundu est pretzisu a connosci linguas istrangias po ’nci arrennesci a isciri su chi acontessit infora de nosu, po s’infromai de su chi capitat adhia de su strintu nostru natzionali, o po si mantenni acaraus cun is strangius (e si giai est istrinta sa leada natzionali, imagineusì sa regionali!); nossi no est scéti cussu, deu pentzu: no est scéti chistioni de si ponni in contatu cun is atrus de atrus cirrus de su mundu cun iscopu praticu (cosa, custa, chi no ’nci tengu nudha ’e nai, ci at a mancai, andat bèni s’ingresu, chi ’nd’est bessendi de dì in dì su latinu nou de òi, isterridu in totu su mundu; e andat bèni puru calisisiat lingua mancai de foras de s’Europa, bistu chi cun s’infora de Europa eus a tenni contus e chistioni in su benidori innoi acùrtziu). Andat bèni totu custu, ma una pesadìa chi siat plurilingue abberu si podit fintzas fai (si no mi seu atrivendu tropu nendi custu) propriu cun is linguas minoris (minoris aici po nai), cussas propriu de domu, de una domu meinnoi su bilinguismu (est a nai s’impitu de sa lingua prus àmpara natzionali accanta de sa lingua minori regionali) innoi su bilinguismu, seu nendi, est cosa acostumada e fitiana, o mancai innoi su bilinguismu est una cosa imberta e virtuali: innoi sa lingua minori, fintzas si no benit impitada, abarrat e s’istentat asuta de su pillu de sa lingua manna. Un’esercitziu de bortadura de s’italianu a su sardu insandus iat podi èssi sa cosa chi podit atziviri abberu e cun profetu su prus mannu, po agatai su sentidu de s’identidadi, unu fatu de cabbali prus de milli atras cosas o imbentus o predicas. Poita ca s’identidadi no est cosa aici sintzilla comenti de pentzai sa difaréntzia cun su propriu sentidu de is pipius (chi narant: nosu, is Sardus, cumenti seus bellus e balentis, nosu chi seus istesiaus de is atrus, diversus de totus). Nossi, no est aici: s’identidadi est, a su contrariu, su d’acurtziai su chi est atesu, est unu perrogu supriu de is atrus; s’identidadi est a fai parìvile pari cun nosu su chi est allenu, ma manigendidhu a ghetu nostru e assentendidhu in su mundu nosrtu etotu; fendi cambiapari inta culturas e universus difarentis. Un esercitziu che a custu de passai de una lingua a s’atra de pentzai in mesu a duas linguas, un’esercitziu che a custu nos’ iat a podi amustrai cummenti cadauna lingua impreat una manera totu sua po tenni giuntus aintr’ ’e pari is sentidus e is significaus, una manera chi est diversa de una lingua a s’atra. E custu dhu podeus cumprendi pruscatotu candu tocat a espressai significaus, imbentus de menti e sentidus astratus, significaus chi si depint isterriri movendi de difarentis iscrocas concretas; est custu contivizu chi s’atuant su cervedhu e su fuedhu, maniggendi bartzigas e impitendi su suspu e s’iscromba, alleghendi a sbiasciu. Est innoi insandus chi podeus tocai cun is manus, e cun sa conca, cumenti sa diversidadi siat posta faci ’e pari cun s’identidadi, chene de ’nc’essi disamistadi intr’ ’e is dus; est deaici chi si ’nd’acataus cumenti una lingua ­ – cal’est su sardu – chi no est meda acostumada a su fuedhongiu astratu ­ ma scéti poita dh’anti allacanda in su concretu – e chi po tantu no est de su totu disposta a tratai is fuedhus astratus de un atra lingua, dhus podit acansai, custus fuedhus astratus, in domu sua etotu movendi e isterrendi propriu de su concretu cosa sua.

Bèni totu custu, ma beneus imoi a sa chistioni de cust’atobiu de òi, chi est cussa de s’unificatzioni de sa lingua sarda. Apu giai nau in s’isterrida de cust’arrelata, chi sa chistioni de s’aunimentu de sa lingua no est, in su momentu, a parri miu, su problema primargiu. Ma su chi mi seu dimandendi imoi est si custa chistioni si dha depeus ponni cumenti problema in facci ’e su benidori, e si est aici, po cali iscopu e de cali ghetu. Po meda genti su de s’unificatzioni, su de rendi parìvile totu s’iscera de is fuedhadas sardas, parit su problema prus mannu in s’aficu de una sorti diciosa po su sardu. Totu custu a mei, perou, parit prus chi atru su chi si narat unu feticcio, una màriga sbuida de sentidu, una chistioni no bera, no de sustantzia. A mimi totu custu mi parit su reflessu, sa magini torrada incuadas de atras istorias, de istorias de ateras linguas e culturas, nascias e crescias in tempus diversus, in cussorgias diversas e chi ant sighiu camineras diversas. A mei mi parit, totu custu, de si ’nci ’olli sprigai in s’istoria de is natzionis e natzionalidadis europeas modernas: cuss’istoria chi narat chi dogna natzioni depit tenni una lingua sua, e, pruscatotu, una lingua aunada e bona po su manigiu de totu sa natzioni artziendi asuba de totu su mudongiu chi s’agtat de cussorgia in cussorgia. Ma segurus seus chi nosu puru depeus/boleus torrai a fai sa propria esperiéntzia? Segurus ’ndi seus? mancai torrendi a fai is proprias fadhinas de cussus manigius istoricus? (chi, assora, funti stetius su de ’nd’ai bogau de mesu totu is difarentzias, totu is identidadis minoris e totu is sentidus de arrexinamentu e de apartenidura a su logu suu). Fortzis no seus in sa propria posidura chi si ’nci funti assentadas e afortziadas is linguas natzionalis in su passau de s’istoria. Òi seus de su parri chi su de coberai s’identidadi no depat ismenguai su balori de su chi est difarenti. Depeus partiri de s’idea 1) chi sa difarentzia est arrichesa; 2) chi s’imbastimentu, s’assentu e su vocabolariu de su sardu est sempri su propriu po dogna iscera de fuedhahda sarda; e duncas chi 3) su de isciri o de imparai una variedadi de sardu donat àxiu po cumprendi e po allegai fintzas is atras variedadis, 4) chi su chi ammancat a una variedadi dhu podeus agatai ind un’atra, diaici chi una podit crumpiri s’atra, mascamenti po su chi pertocat a su lessicu; e, 5) po acabbai, depeus pentzai chi aunimentu no bollit nai su de torrai totu a unu propriu pari.

A una unificatzioni, a un’ aunimentu, podeus fintza pentzai cumenti aficu e cument’e punna: ma su manigiu e su caminu po dh’acansai no at a podi essi cumandau e impostu de nisciuna autoridadi, ni podit essi cosa bessia de su taulinu de carchi sabiu, po cantu sabiu siat, ma at a podi/depi bessiri in foras (si dhu ’oleus) de sa faina pratica etotu, de sa scritura, de s’arti e de s’imbentu, e de su si fuedhai totu cantus impari is Sardus. E insandus est po cussu chi tocat chi dognunu imparit a primu sa fuedhada de domu e de bidha sua. S’aunimentu de totu su sardu podit essi pentzau cumenti carchi cosa chi no siat tostada e cìrdina, ma modhi invecias, e chi agguantit su mudongiu e indullat a sa difarentzia. Candu su lessicu, is peraulas, is fuedhus de dogna genia de fuedhada ant essi pratzius intra ’e totu cantus, insandus sa diversidadi, is diffarentzias anti a donai pagu strobbu e mancu irfadu; e custu mescamenti si ’ndi abbrandaus totu su chi iscerat tropu unu ghetu de fuedhai de un’atru, su chi est tropu liau a una bidha, a una cussorgia, a unu logu propriu, mannu o piticu chi siat, e si poneus ingrina a imperai cussas cantus variedadis aperperadas (i sub-standard) chi esistint giai.

Aparrat perou una chistioni, e est cussa de sa lingua de s’aministratzioni, in spetzia de s’aministratzioni centrali regionali. A nai su beru una proposta in custu deretu ci fiat giai stetia, imoi carchi annu fait, fut sa proposta de sa LSU (Limba Sarda Unificada). Cust’urtima at tentu, deu creu, prus d’unu meréssidu: si no est atru, su de ponni su problema, de scucullai imbentus arresurtus arrexonaus pruscatotu de sa banda ortografica, e in dogna modu a tentu su meréssidu de ai istérriu su problema e de ’ndi ai sucau sa dibbata e sa chistioni, e fintzas s’iscumbata intr’ ’e pensamentus isceraus, e totu custu ponendi a banda totu sa pelea e is cuntierras chi si ’ndi sunti pesadas a pitzu. Ma scieus fintzas chi custas peleas e cuntierras ’nci funti istetias puru, cun arresurtus de iscussentidura. Scieus chi sa LSU ’nd at pesau me’ is fatus scontrorius in totu su cab’e basciu de s’Isula, po ca est istetia fraigada asuba de is fundadamentas de is fuedhadas de su cab’ ’e susu e ’nd’ at iscancellau casi totu is piessignu campidanesus; e est nódidu puru chi custus scuntrorius ’nci funt istetius fintzas me’ is cussorgias de su centru e de sa band’ ’e susu de Sardinna. Ma puru atras arrexonis ant portau a arrefudai sa LSU (mancai no siant totu arrexonis atuadas): sa prima est chi sa LSU est una lingua fatisca chi no torrat a pari cun nisciuna fuedhada chi s’alleghit, e po custu est dificili a ’nci cunsentiri; po segundu custa LSU, mancai a fuedhus e a prima mirada, lessit logu a totu is fuedhadas naturalis chi si imperant in Sardinna, mein su fattu issa, sa LSU, allacanat custas fuedhadas in su strintu de domu insoru, e in s’impreu praticu scéti: in fatis sa proposta narat chi sa LSU est sa lingua de s’aministratzioni, de sa radiu, de sa televisionis, de s’imprenta, de sa publicidadi: e insandus ita dhi ’nd’abarrat a is fuedhadas beras e naturalis? Nudh’atru chi s’atremenadu, s’istrintu de domu e de bidha o pagu in prus! Aberendi deaici sa bìa a su folclore de custas fuedhadas e torrendi a curri sa propria caminera frassa de atrus tempus.

Insandus sa proposta chi si podit isterri est cussa de una lingua comuna e unificada chi potzat bàlliri perou scéti po s’amministratzioni centrali regionali e scéti in bessida, est a nai chi s’amministratzioni de sa Regioni sarda imprea custa lingua comuna po torrai arrespusta a chinisisiat dha preguntit po calisisiat cosa; ma, po atra banda, sa Regioni podit arreciri e colliri preguntas, mancai uficialis, in calisisiat scera de fuedhada sarda. Totu custu po ca de una banda, posta sa mancantzia de una lingua sarda comuna, sa Regioni no podit arrefutai nisciuna variedadi de sardu, de s’atera banda po ca non si podit pentzai chi sa Regioni etotu iscriat o alleghit in centu ghetus difarentis a segundu de s’impreau chi s’agatit, borta po borta, a respundi a sa genti, (in logudoresu si s’agatat un impreau logudoresu, in castedhaiu si s’agatat un’impreau castedhaiu), ne si podit pentzai chi si depat andai a circai una ’orta un’impreau chi respundat, aici po nai, in mamojadinu a is mamojadinus, un’atra ’orta a circai un impreau chi scipia su sedhoresu po arrispundi in sedhoresu a is sedhoresus, e un’atra ancora un’atru chi scriat in tempiesu a is tempiesus.

Scéti in custu sentidu e in intru de custus treminis e abisongiu si podit e si depit pentzai e agatai unu sardu comunu, a su mancu po imoi. E cali tipizu de lingua s’iat a depi scucullai e scioberai po cust’iscopu? Depeus torrai a fai is proprias fadhinas de ariseu? Depeus imbentai torra una lingua fatisca de taulinu, chi mancai ’ndi fatzat intrai carchi piessignu in prus de is fuedhadas de Campidanu? S’est giai bistu chi su fatiscu no est agradéssiu e no praxit meda, antzis no praxit propriu po nudha: e insandus si depit andai abbia de una lingua bera e fuedhada deabberu. Sa proposta est cussa de una lingua de Mesania, est a nai de sa lingua de sa leada de mesu de Sardinna, de cussa leada chi est posta in mesu a is fuedhadas campidanesas e de is fuedhadas logudoresas-nuoresas, e chi tenit piessignos de giossu e piessignos de susu, chi s’est isvilupada pighendisì una bisura de una variedadi chi intreverat ghetus de cab’ ’e susu e maneras de cab’ ’e basciu. Mi parit una proposta arrexonada custa. Primu poita c’allacanat s’impreu de sa lingua comuna a s’impitu e a su manigiu amministrativu scéti e lassat a totu cantus totu sa libertadi de fuedhai cumenti ’olint, cumenti agradessint e cumenti funti acostumaus; su de dus, poita ca est una lingua bera e no fatisca, una lingua chi est fuedhada a beru de genti bera in una o in unas cantus bidhas beras, innoi dha podeus atobiai, averiguai e iscumbatai. Mancai ’ndi dh’eus a podi bogai is piessignus (scéti calincunu) chi dha faint parri comenti tropu marcada e tropu istesiada de is atras fuedhadas, cussus piessignus chi dhi donant su sainete de unu logu tropu atremenau e cungiau; ma su fundamentu e su fundoriu, in dogna modu, depit essi e abarrai cussu.

Su profetu de custu iscéberu est cussu de donai una risposta a s’amministarzioni chi abisongiat, cumenti eus nau, de una variedadi de imperai cument’e lingua comuna; e un’amministratzioni chi alleghit in sardu est unu singiali bonu po is Sardus, e prus ancora si s’impitu de custa lingua comuna no benit intesu cumenti chi sa Regioni bollat fai pratzebbas po s’una o po s’atera banda de Sardinna; e in prus si podit cumentzai, partendi propriu de innoi, de sa lingua ’e Mesania, a isperimentai s’aunimentu de sa scritura e de s’impreu comunu puru, fintzas in foras de s’allega aministrativa. Est partendi de innoi chi s’iat a podi provai a manigiai una lingua comuna, cussiderandidha che una móvida; partendi de innoi podeus aciuntai a sa lingua comuna de sa Mesania cosas e trastus chi bengiant de dogna atru logu de Sardinna: bollu nai chi su scrusoxu linguisticu de totu su sardu podit essi aperperau a caustu fundamentu de lingua comuna chene de depi cunsiderai cust’urtima che unu deu chi no si potzat tocai, candu chi invecias andat pentzada scéti che un’isterrida; mancai podeus sighiri a dhi ’ndi ’ogai su ch’issa tenit che tropu marcau cumenti tropu cosa sua, e intreghendidhi piessignus allenus de totu is ghetus de dogna logu de s’Isula. Po isperimentu perou, no po obrigu! Custa ligua de Mesania podit essi unu puntu e unu logu innoi potzat torrai apari totu sa prenda de su mudongiu linguisticu sardu, podit essi cumenti un’aina de iscumbata e de averguamentu, chi fetzat indulli tutu su cirdinu de dogna campanili, ma chene iscancellai su chi dogna campanili tenit de bonu e podit inditai a totu is atrus, ponendusì faci a pari cun totus.

Po concruiri m’iat a praxi a nai chi propriu is chi sunt contra sa lingua sarda, o is chi mancai ’ndi tenint istima ma no creint meda in s’arrennesciu suu, bogant a campu s’arreghescia chi su sardu no tenit unidadi linguistica apitzu ’e su mudongiu suu e chi propriu po custu no potzat callai e no si potzat imponni che una lingua bera e assentada, mentris chi funt propriu is istimadoris prus apentaus a su sardu is chi, meda bortas, arrefudant s’aunimentu de sa lingua, e chi mancu ’ndi bollint intendi de lingua comuna. Est a custu chi bisongiat pentzai bèni, innantis de sighiri: bisongiat pentzai chi is chi imperant su sardu de manera afatanti faint prus arrempellu a scioberai una lingua comuna, mentris chi is chi funti pagu afainaus e pistichingiosus in s’impitu de sa lngua, si ponint a arrexonai partendi dae su mogliu de is linguas mannas chi deddiora ant tentu s’aunimentu insoru. Aici nendi bollu intendi, chi, postu totu custu, s’unificatzioni, s’aunimentu podit essi prusaprestu un’incrina, una punna, ma no depit essi ni un’obbrigu ni un’apretu.

Prefazione al Vocabolario Italiano- Sardo campidanese di GIOVANNI CASCIU

Cagliari, Grafica del Parteolla, 2009.

 

Quando, diversi anni fa, ebbi l’onore e il piacere di presentare a Cagliari il Vocabolario Sardu campidanesu Italianu di Giovanni Casciu, conclusi il mio intervento con l’auspicio che l’Autore volesse affrontare la fatica inversa: quella di allestire un vocabolario Sardo campidanese-Italiano, mettendo a frutto il lavoro appena concluso e rendendo così un servigio culturale alla lingua sarda e ai Sardi stessi, in particolare i più giovani.

Questo auspicio è felicemente diventato realtà. Una realtà di molto valore.

La lessicografia sarda conta ormai infatti un buon numero di validi lavori, anzi talvolta eccellenti, in una tradizione che vanta già più di un secolo: dai lavori dello Spano e del Porru, a voler tacere dei primi tentativi del Madao, per arrivare poi al capolavoro di Max Leopold Wagner, il Dizionario Etimologico Sardo (DES) e a diversi lavori più recenti, fra i quali andrà certo ricordato il Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda di Mario Puddu. Tuttavia nei tempi ultimi, se si eccettuano alcuni tentativi di diseguale valore, sono mancati dizionari Italiano-Sardo, mentre gli sforzi e i risultati migliori si sono concentrati sui dizionari monolingui sardi o sul versante Sardo-Italiano.

Questo vocabolario di Giovanni Casciu viene dunque a colmare una mancanza e sopperisce a una necessità. Si tratta di un dizionario che comprende più di 25.000 lemmi; esso, esemplato sui migliori dizionari italiani d’uso, propone la traduzione sardo campidanese di ciascuna voce in entrata, per molte delle quali sono riportate varianti lessicali diverse, spesso accompagnate da esemplificazione mediante sintagmi o frasi che chiariscono il valore semantico particolare, si veda p. es., le voci Sbieco, CarneBettola:

 

Sbieco agg. sbiàsciu, tortu  – un muro s., unu muru tortu; nella loc. “di s.”, de sbiàsciu – guardare di s., casiai de sbiàsciu.

 

Bèttola, s.f. osteria, steria, taverna, buttega de binu, piola (t.gerg. di Cagliari) – frequentare le b., frequentai is osterìas; – discorsi da b., arrexonamentus de osteria.

 

Carne, s.f. 1. parte muscolare del corpo dell’uomo, carri, pruppa – essere bene in c., èssiri in pruppas; c. viva, carri  bia; – sono proprio io, in c. e  ossa, seu propiu deu, in persona; – le tentazioni della c., is tentazionis de sa carri   2. carne degli animali  usata come alimento, pezza  – c. di bue, di  maiale, di pollo, pezza de boi, de porcu, de  pudda; – non è né c. né pesce, no est ni pezza e ni pisci.

 

I diversi valori della voce italiana in entrata sono invece contrassegnati, quando è il caso, da numero progressivo in evidenza e quasi sempre avvalorati da esemplificazione appropriata. Si veda, p. es., l’articolo relativo alla voce Camera e quello relativo alla voce Proiettare:

 

Camera, s.f. 1. ambiente interno di  un  edificio per abitazione, aposentu  – c. da  pranzo, da letto, aposentu de prandiri, de lettu (de corcai); – c. mobiliata, aposentu alasciau; – veste da c., guardabì; – un appartamento di tre camere e cucina, un’appartamentu de tres  aposentus e coxina  2. Ambiente o spazio delimitato, riservato per usi specifici, camera  – c. di punizione, c. di  sicureza, c. mortuària, camera de castigu, camera de seguresa, camera  mortuària  3. spazio chiuso in cui si svolge un processo fisico o chimico o di altra natura, camera – c. oscura, c. di scoppio, camera d’aria, camera oscura, camera de scoppiu, camera d’aria  4. organo collegiale con  potere   consultivo, deliberativo o  legislativo, Camera (con iniziale maiuscola) C. dei   deputati, C. di  Commercio, Camera de is  deputaus, Camera de Commerciu.

 

 

Proiettare, v.tr. 1. lanciare, imbrillai, spondiri  – nell’incidente il pilota  fu proiettato fuori dalla macchina  in corsa, in s’ incidenti su pilota nci fut spondiu a foras  de s’automobili in cursa  2. emettere un fascio di luce  – gli proiettò sul volto la luce della torcia, nci dd’hiat imbrillau  a facci sa luxi de s’accia elettrica; – l’albero proietta la sua ombra sulla terrazza, sa mata proiettat s’umbra sua in su terrazzu  3. riprodurre su schermo diapositive e immagini di una pellicola, proiettai, fai biri – ci ha fatto vedere il filmino del suo ultimo viaggio e delle stupende diapositive, s’hat fattu biri su filmixeddu de s’urtimu viaggiu suu e diapositivas meravigliosas.

 

o quello relativo alle voci Ronzare e Ceppo:

 

Ronzare, v.intr. 1. emettere il rumore che fanno alcuni insetti volando, amuinai, zumiai, frusiai – le api ronzano intorno ai fiori, is abis zumiant a ingiriu  de is froris  2. (fig.) mulinare, frusiai  – è da ieri che mi ronza  nella testa  quest’idea, est di arisei chi megat a mi frusiai in conca cust’idea; – r. intorno a una ragazza, arrodiai a ingiriu de una picciocchedda.

 

Ceppo, s.m. 1. parte inferiore del tronco di  un albero, ciocco, cozzina  – mettere un  c. sul fuoco, pòniri una cozzina in su fogu  2. grosso pezzo di  tronco reciso  e pareggiato, per vari usi, cippu, truncu  – c. per le decapitazioni, cippu po is degogliaduras; – c. da macellaio, cippu de carnazzeri 3. capostipite  di una  famiglia, origine di una stirpe, arrazza, stripa, erenzia, arremporiu  – essere di antico ceppo, essiri di arremporiu antigu  4. pl. arnesi di legno o di ferro per serrare i piedi ai  prigionieri, griglionis  5. (fig.) persona stolta, tarda, cozzina.

 

La necessità cui risponde questo lavoro, oltre che essere oggettiva in se stessa, si fa sentire con maggiore impellenza nei tempi odierni: oggi che, purtroppo, la lingua sarda è sempre più minacciata e vede assottigliarsi viepiù il numero dei suoi parlanti, in misura rilevante soprattutto fra le giovani generazioni urbane e/o scolarizzate. Se un vocabolario monolingue sardo, o anche in certa misura un vocabolario Sardo-Italiano, risponde essenzialmente alla necessità e allo scopo della conservazione del tesoro lessicale della lingua, un dizionario italiano-sardo ha principalmente lo scopo di permettere con maggior agio e semplicità l’acquisizione o il controllo del lessico sardo non tanto ai non Sardi, quanto ai Sardi stessi e in particolar modo a quanti, fra i Sardi, hanno una conoscenza ormai labile della loro lingua, una conoscenza, magari solo passiva, ridotta alle parole più comuni e familiari, alle espressioni più trite e corrive; esso è un forte corroborante ed un commutatore per quella conoscenza non dico minima, ma anzi minimale che ingenera assai spesso la falsa coscienza del Sardo come lingua povera e senza strumenti espressivi. Si potrà così verificare e (ri)scoprire quante parole il lessico sardo contempli anche per significati relativamente ai quali oggi si inclina supinamente verso gli italianismi, per la disabitudine ormai acquisita di non servirsi del Sardo al di fuori delle esigenze e dei registri più pragmatici, al di là dei quali o ci si esprime in Italiano o dell’Italiano si è tributari. Si vedano i seguenti esempi tratti dal presente vocabolario:

 

Abbacchiamento, s.m. 1. atto dell’abbacchiare, scutuladura 2. stato di  depressione, annungiu, avvilimentu, abbattimentu.

Aspirazione, s.f. 1. vivo desiderio, aspirazioni, punna, disigiu  – avere molte a., tèniri medas aspirazionis  2. l’atto di aspirare, tirada, suspidu.

Audacia, s.f. coraggiu, prontu, alidanza, azzardu – ha avuto l’audacia d’insultarmi, hat tentu su prontu de mi offendiri.

Brama, s.f. spéddiu, arràngulu, gana manna  – b. di  ricchezze, di  sapere, speddiu di arricchesas, de sciri.

Cavillo scusa, arreghescia, pinnica, arrezzallu  – ha cercato c. per non andare alla festa, hat circau arreghescias po no andai a sa festa

Cérnita, s.f. cérrida, sceru, scioberu  – fare una cernita accurata, fai unu sceru scrupulosu.

Distensione, s.f. distensioni, asseliu  – la d. degli arti, dei nervi, sa distensioni de is arremus, de is nerbius; – la d. degli animi, s’asseliu de is animus

Depressione, s.f1. zona che  si trova  a livello inferiore a quello del mare o delle regioni circostanti, basciura  2. stato di prostrazione fisica e psichica, scoramentu, abbattimentu – avere momenti di grave d., tèniri momentus de scoramentu mannu.

Diffusione, s.f. diffusioni, spainadura  – la d. di un giornale, sa diffusioni de unu giornali; – l’inglese è una lingua di larghissima d., sa lingua inglesa est spainada in totu su mundu.

Diffuso, agg. diffùndiu, spainau, spartu.

Distrazione, s.f. sbéliu, distrazioni, spreviu  – l’ho fatto per d., dd’hapu fattu po distrazioni; – hai troppe d., tenis troppu distrazionis; – a  fine settimana avrò diritto a  un po’ di d.! ,a cou de cida hap’a tèniri derettu a unu pagu de spreviu!

Divérbio, s.m. briga, contienda, abbettia, certu – venire a d., certai, brigai; – nacque un gran d. fra loro, fiat nasciu unu certu mannu intre issus.

Doglianza, s.f.  chèscia, lamentu – esprimere le proprie d. sul conto di qualcuno, espressai is proprias chescias contra de calincunu.

Eccellere, v. intr. estremai, propassai  – eccellere  nel campo della  musica, estremai in su campu musicali; – eccelle sugli altri per maleducazione, propassat is aterus po scurreggimentu.

Eccelso, agg. e s.m. primorosu, soberanu le sue e. virtù, is virtudis primorosas  suas;– l’Eccelso, su Soberanu, Deus; – gloria a Dio negli eccelsi, gloria a Deus in is celus.

Eccentricità, s.f. stramberia, stravaganzia  – è noto a tutti per la sua e., ddu conoscint totus po sa stravagànzia sua.

Eccentrico, agg. strambu, strambeccu  – un uomo, un comportamento e., un’omini, unu cumportamentu strambu.

Eccepire, v.tr. oppòniri, oppugnai  – non  ho nulla  da e., no tengiu  nudda de oppòniri;– la difesa desidera e.?, sa defensa bolit oppugnai?

Eccitare, v.tr. scinizzai, insuzzuligai  – e. l’appetito, insuzzuligai s’appetitu; – bevande, cibi che eccitano, bevidas, mandiaris chi scinìzzant.

Eguagliare, v.tr. 1. rendere uguali, livellare, pareggiare, ugualai, agualai  – e. un primato, ugualai unu primatu; – la morte eguaglia tutti, sa morti ugualat a totus  2. rendere uniforme, apparixai – e. una siepe, e. l’erba di un prato, apparixai una cresuri, s’erba de unu pardu.

Elencare, v.tr. allistai, elencai, fai sa lista de   – e. gli  iscritti al partito, fai sa lista de is iscrittus a su partidu; – e. i  volumi della  biblioteca, allistai is librus de sa biblioteca; – e. le virtù de una persona, elencai is virtudis de una persona.

Estasi, s.f. estasi, incantu, axeliu, incantamentu  – andare in e. davanti a un quadro, andai in axeliu ananti de unu quadru;

Grinta, s.f. cilla, azza, alidanza – un atleta che ha g., un’atleta chi tenit alidanza; –una g. da far paura, una cilla de fai a timiri.

Impulso, s.m. impulsu, impulsioni, frénia  – dare i. all’ industria, al commercio, all’arte, donai impulsu a s’industria, a su commerciu, a s’arti; – gli è venuto l’i. di  scrivere poesie, dd’est benida sa frenia de scriri poesias; – mi venne l’i. di prenderlo a schiaffi, mi fut  beniu s’impulsu de ddu pigaia bussinadas.

Indagare, v.tr.e  intr. averiguai, investigai, scruccullai, speculitai, spriculai  – i. su  una rapina, intorno a un delitto, averiguai  asuba de una fura, a ingiriu de unu delittu; – i. le cause di un fenomeno, speculitai  is motivus  de unu  fenòmenu; – i. i  misteri della  natura, speculitai is misterius de sa natura

Indagine, s.f. averiguazioni, averiguadura, scruccullu  – i. storica, statistica, di  mercato, averiguazioni storica, statistica, de mercau; – la  polizia ha  concluso le i., sa polizia hat  congruìu is averiguazionis.  

Inerte, agg. 1. di persona, inattivo, inoperoso, ozioso, sfainau, sganiu, preizzosu  – temperamento i., temperamentu sganiu  2. che è in  stato di  quiete, di inerzia, inattivu, inerti  – materia i., materia inerti; – rendere i. una mina, rendiri inattiva una mina.

Inérzia, s.f. 1. la condizione di chi è inerte, sganimentu, inérzia – un periodo di inerzia assoluta, unu periodu de sganimentu totali; – è di un’i. deplorèvole, est de unu sganimentu disalabàbili  2. La tendenza della materia a non modificare il suo stato di quiete o di moto  – andare avanti per i., andai a innantis po forza de inerzia.

Istigare, v.tr. inzulai, istigai  – i. uno alla ribellione, a  commettere un reato, inzulai unu a sa rebellioni, a cummìttiri unu reatu.

Lungimiranza, s.f. abbistesa, previdenzia  – la l. di una legge, sa previdenzia de una lèi.

Lusinga, s.f. imbràmbulu,  imbrìmbinu, frandigu, losinga  – attirare, conquistare con l., attirai, cunquistai cun frandigus; – cedere alle l., arrendirisì a is losingas; – l. d’amore, frandigus di amori.

Lusingare, v.tr. imbrallocai, imbrìmbinai, imbrambulai, frandigai, ingrangulai, ingreghiai, losingai –l. gli elettori, imbrallocai is elettoris;- la sua approvazione mi lusinga, su consensu suu mi onorat.

Lusingatore, agg. e s.m. ingranguleri, ingreghiadori, frandigadori, losingadori  – parole  lusingatrici, fueddus losingadoris; – donna lusingatrice, inviscadora.

Ostinarsi, v.intr. ostinaisì   – o. a negare, a non rispondere, ostinaisì a negai, a no respundiri; siostina a voler avere la ragione, si ostinat a bòliri s’arraxoni.

Ostinatezza, ostinazione, s.f. ostinazioni, barrosìa – o. nel chiedere, nell’insìstere, nel negare, barrosìa in su domandai, in su insìstiri, in su negai.

Ostinato, agg. tostorrudu, accanìu  – è o. come un mulo, est tostorrudu che unu mulu; – giocatore,

fumatore, bevitore o., giogadori, fumadori, buffadori accanìu.

Pegno, s.m. prenda  – dare in p. qualcosa, donai calincuna cosa in prenda; – monte dei p., monti de is prendas; – l’anello di  fidanzamento è un  p. d’amore, s’aneddu de fidanzamentu est una prenda di amori.

Parzialità, s.f. parzialidadi, prazzebas  – non faccio p. per nessuno, no fazzu prazzebas po nisciunus.

Scontroso, agg. angulosu, arrevesciu, arrebeccu, strugnu  – una  persona riservata  e un  po’ s., una persona reservada e unu pagu strugna; – una risposta s., una resposta arrovescia

Sconvòlgere, v.tr. confusionai, conturbai, scuncertai, avolotai, atropegliai, trumbullai  – la traversata mi ha sconvolto lo stomaco, sa traversada m’ hat  trumbullau su  stògumu; – un incontro che ha sconvolto la sua esistenza, un’attoppu chi hat confusionau s’esistenzia sua; – tutte queste novità mi sconvolgono, totu custas novidadis m’atropegliant.

Soverchiare, v.tr. subercai, sorbai, sobrai  – l’acqua  del fiume  soverchiò gli  argini, s’aqua de su frùmini hiat subercau is arginis.

Stesura, s.f. sterrimentu, stérrida, passada  – la  s. di un contratto, sa stérrida de unu cuntrattu; – la prima s. di un romanzo, sa primu sterrida de unu romanzu; –devo fare l seconda stesura del colore, depu donai sa segunda passada de tinta.

Tollerare, v.tr. baliai, tollerai, sopportai  – t. tutte le  religioni e tutti i culti, tollerai tot’is religionis e tot’ is cultus; – un farmaco ben  tollerato dall’ organismo, una mexina tollerada bèni de s’organismu; – non riuscire a t. una persona, no arrenesciri a sopportai una persona; – non t. soprusi, ingiustizie e imposizioni, no tollerai prepotenzias, ingiustizias e imposizionis.

Vantaggio, s.m. vantaggiu, giuamentu, torracontu, profettu, pròi  – sa trarre v. da  ogni situazione, ndi scit recabai giuamentu de dogna situazioni;- se si paga in contanti si ha il v. del 10%, si si pagat in contanti ddui est su sparagnu de su dèxi po centu;- i v. e gli svantaggi  di essere scàpolo, is vantaggius e is disvantaggius di essiri bagadìu; – è arrivato al traguardo con due minuti di v., est lompiu a sa raia cun duus minutus de vantaggiu.

 

Si osserverà una ricchezza lessicale per più d’uno inaspettata o almeno dimenticata; si apprenderà una ricca sinonimia, si verificherà come assai spesso accanto all’italianismo o alla voce culta, sia presente, per un medesimo significato italiano di partenza, anche una o più voci tradizionalmente sarde.

È solo dunque attraverso la frequentazione, la dimestichezza, l’abitudine e comunque la disponibilità di uno strumento di consultazione – di buon valore quale è questo – che si può pervenire a una consapevolezza delle reali possibilità di una lingua, laddove queste restino incerte e sottovalutate, celate dall’oblio.

Se la lingua sarda dovrà, come si auspica, entrare a far parte dei curricula didattici nelle scuole dei diversi gradi e ordini, uno strumento come questo è di primaria importanza tanto per i discenti quanto per i docenti, perché gli uni e gli altri possano rientrare nel più certo possesso di qualcosa che, così tante volte, si staglia sullo sfondo della memoria passiva, senza che si lasci ad afferrare pienamente. Per più d’uno, questo strumento servirà a riattivare una memoria sopita; per molti altri avrà invece l’effetto di una sorpresa: quella della ricchezza di un patrimonio, fatto di parole, più ingente di quanto non lo sospettasse, e con un’estensione, per tante voci in esso presenti, che va al di là delle formule consunte e banali e dei ristretti ambiti di basso registro cui spesso le parole della nostra lingua sono confinate da una condizione sociolinguistica – e socioculturale – di subalternità.

Il vocabolario di Giovanni Casciu è dunque uno strumento importante e utile all’interno del dibattito sulla lingua sarda, e nei confronti dei tentativi che si vanno oggi facendo per il recupero, vivo e non solo accademico, di essa; affinché la nostra lingua venga impiegata anche al di là dei limiti in cui sempre più viene ridotta. Recuperare una lingua – e il suo lessico! – è infatti recuperare una libertà e, insieme, cercare di por fine, o almeno di arginare una marginalità. Significa eminentemente stabilire e riconquistare una segmentazione originale dell’universo del significabile, una specola diversa da cui guardare il mondo, un ulteriore e particolare rapporto con la realtà.

È stato qui raccolto materiale per un dizionario dell’uso rivolto all’attenzione di chi voglia affinare la propria conoscenza del Sardo nella sua variante campidanese (quella che conta, potenzialmente, il numero più elevato di parlanti), o di colui che voglia controllare e verificare la conoscenza che di già possiede. Inoltre, ed è questo un altro dei suoi pregi maggiori, viene attuato, per mezzo del lavoro di Giovanni Casciu, non solo il recupero e la registrazione del lessico tradizionale, ma viene pure censito, acquisito e accettato un lessico nuovo o comunque di innesto più recente: quello derivato dall’introduzione nel patrimonio sardo di italianismi di derivazione e acquisizione moderna e di o più o meno fresca data. È, con ogni evidenza, un settore e un capitolo delicato questo, non certo esente da rischi, qualunque sia il modo con cui si voglia agire nei confronti di questo problema: cioè nei confronti della dilatazione e del rinnovo, così spesso necessario e consequenziale al mutare e al progredire dei tempi, del repertorio delle parole utilizzate e da utilizzare. Si può infatti cadere, a questo proposito, in due diversi e opposti eccessi: o quello di fossilizzare la lingua su di un passato ormai perento e non più rispondente alle necessità reali dell’oggi, rischiando così di fallire nel progetto che miri a un Sardo quale lingua realmente viva e d’uso comune e per ogni ambito d’uso della modernità; oppure, sul versante opposto, si può correre il rischio contrario, che è quello di aprire supinamente la porta all’entrata e all’irrompere in eccesso di voci d’accatto che finirebbero per snaturare la lingua sarda e di farne un’appendice, al più connotata e peculiare, della lingua da cui il Sardo attinge, dell’Italiano. Giustamente ha dunque posto il problema Giovanni Casciu; ed egli è quindi stato pronto ad accettare, nel lessico campidanese, voci che forse potrebbero far storcere il naso al purista.

Ma il rischio di ‘snaturamento’ si evita certamente, quando, nel medesimo tempo in cui si censiscono e si acquisiscono parole nuove ed esogene, si viene a ristabilire e a ricordare anche l’esistenza e quindi l’impiego di parole che invece stanno sulla soglia del nostro patrimonio, ma rivolte verso l’uscita, o che magari tale soglia l’hanno già varcata, e sono perciò andate oramai perdute o stanno per esserlo. Voglio dire insomma che il rischio di snaturamento mediante l’ingresso di voci nuove provenienti dall’Italiano si evita quando si trattengono nel patrimonio lessicale parole che sono in pericolo di esserne sottratte, per logorio, ma soprattutto per un oblio che cede al maggior prestigio della lingua sovraordinata. La compresenza di novità e tradizione favorisce pertanto la vivacità, ma anche l’essere stesso di ogni lingua e la sua dinamica: attraverso questo confronto si può dare infatti luogo a una vera e propria innovazione originalmente creativa della lingua; che è spesso proprio ciò che manca ad ogni idioma che va deteriorandosi e raggiungendo il grado regressivo di ‘dialetto’. E questo tanto più è vero per il Sardo – Campidanese compreso – che, sebbene oggi se ne sia dimenticata la storia, una storia ben la possiede, col suo dinamismo e con i suoi ripensamenti. Ed entro questa storia, se è pur certo e noto che una parte cospicua del lessico sardo è di provenienza iberica (catalana e castigliana), è vero altresì che il Sardo ha avuto un contatto ininterrotto, dal medioevo ad oggi, con la lingua italiana, dalla quale ha tratto non poco del proprio lessico; ed anzi dal secolo XVI fino al principio del secolo XX, l’Italiano ha costituito il serbatoio del registro colto e letterario del Sardo; soltanto in epoca più recente, a cominciare dalla fine dell’Ottocento, si è cominciato a scandagliare il lessico depositato nella intrinseca tradizione sarda e in vigore nell’uso comune e ad utilizzarlo anche in sede poetica e letteraria, non senza fatica, incertezza e ripensamenti. Dunque sarebbe antistorico e controintuitivo negare l’accesso, in un dizionario dell’uso quale questo vuol essere, agli italianismi; e sarebbe stolto scandalizzarsene o farne bersaglio di censura: tanto più che non di rado accanto alla voce o alle voci italiane vengono registrati gli equivalenti sardi più tradizionali, magari con indicazione e specificazione dei diversi valori semantici che sono attribuibili all’una o all’altra voce.

 

Allestire un dizionario è dunque anche tutto questo: non è mera compilazione e raccolta, è anche scelta e programma. Scelta e programma tanto più difficili per il Sardo che non ha alle proprie spalle una vera tradizione di intervento regolatore e normativo, o che solo episodicamente lo ha avuto, e che questo vocabolario Italiano-Campidanese, approntato dal Casciu, invece contribuisce a compiere.

Se certo è vero che un dizionario di per sé solo non può fare tradizione, in questo senso specifico, né supplirne la mancanza, è pur vero certamente che esso costituisce un avvio, una presa di coscienza e di posizione: un vocabolario è più che un suggerimento, e può comunque, come nel caso presente, costituire un sicuro punto di partenza, di riferimento e di confronto.

 

Un altro problema che l’Autore si è proposto di definire è stato quello della variante del Campidanese da scegliere: la soluzione proposta è quella di non avere optato per nessuna subvarietà particolare o locale del Campidanese, l’Autore invece qui preconizza uno standard per questa varietà meridionale del Sardo, pur se non manca la registrazione di determinate varianti, specie fonetiche, si veda, p. es., la voce Biancospino:

 

Biancospino, s.m. corarviu, coràviu, coàrviu   – il b. fiorisce in  aprile, su corarviu frorit in abrili.

 

Il Campidanese dunque: che è una delle due macrovarianti della lingua sarda, una di quelle che non può non contribuire in maniera determinata alla formazione di una lingua unitaria di impiego, e che comunque deve costituire insieme con l’altra macrovariante, il Logudorese, uno dei poli della correlazione dialettica della sardità linguistica, in vista di un’integrazione armonica di queste due varietà esistenti in gioco; perché io credo che una tale integrazione e unitarietà, per il Sardo, è da pensare e da prevedere come dilatata e spostata nel tempo e da realizzare non immediatamente: ma solo guardando in prospettiva. E dovrà, tale integrazione, essere compiuta e messa in pratica non tanto dagli studiosi o da un movimento dall’alto, ma soprattutto dagli utenti: dagli utenti scelti magari, per qualità e capacità di inventiva e di creatività, di intuito e di intenzione, ovviamente; insomma un’integrazione da attuare nel libero gioco dell’uso e dalle scelte che si sarà capaci di fare: senza in alcun modo imposizioni di sorta, senza predilezioni immotivate o mal motivate per l’una o per l’altra variante: per il Logudorese o per il Campidanese; gli studi e gli studiosi, gli artisti e i parlanti assennati potranno semmai controllare questo processo, o indirizzarlo; potranno proporre suggerimenti e stimoli appropriati, ma non dovranno sostituirsi alla libertà di un gioco che ha dimensioni più vaste della linguistica o della lessicografia medesime. E questo tanto più nella prospettiva per la quale se anche si può auspicare una lingua sarda sovra locale, una “lingua tetto”, questa non dovrà andare a scapito delle varietà locali, ‘micro’ o ‘macro’ che esse siano, ma queste dovranno convivere dialetticamente con essa ed anzi costituirne la fonte di perenne alimentazione, soprattutto a livello lessicale ed espressivo.

A tal fine questo lavoro può già costituire un contributo prezioso.

maurizio virdis

Grande anche nella previsione della fine

«non dico avere pena, compassione,
pietà, cordoglio, commiserazione,
misericordia con compatimento,
con condoglianza, con rincrescimento:
non dico avere tormento, corruccio,
tristezza, angoscia, lutto, pianto, cruccio:
ma goduria e tripudio, in buona fede,
perché solo chi muore si rivede:»

                                         Edoardo Sanguinetti


Contro ogni ottimismo-pessimismo Lega PDL e…..PSI (da mondoperaio 4, 2010)

da  mondoperaio n. 4 –  aprile 2010

Elezioni

Com’è profonda la seconda Repubblica

 di  Biagio de Giovanni

  
S
ilvio Berlusconi sembra
rinato dalle sue stesse ceneri, questa mi pare la prima osservazione da fare
sul voto regionale. Solo dopo viene il rilievo da dare al voto alla Lega, e la
simbiosi fra
i due elementi è altro elemento di nuovo
interesse. A quante riflessioni invita il voto! Provo a ordinarne qualcuna, lasciandone
altre nella penna per altre occasioni. Non senza aggiungere, subito, che
considero questo voto, per il centro-destra, in un certo senso più significativo
di quello politico del 2008. Per un insieme di ragioni: le elezioni di mezza
legislatura sono in generale negative per chi governa, la conferma francese lo
ricorda; la pressione giudiziaria e politica su Berlusconi, che ha avuto una
virulenza innegabile, comunque la si voglia interpretare; le sue stesse gravi
responsabilità in tante vicende, di chiara evidenza; dall’interno del PDL la
partita giocata da Fini, che non poteva che avere dietro una diagnosi di
definitivo declino del presidente del Consiglio. E peraltro di declino
parlavano tutti, anche alcuni tra i suoi fedelissimi. Il filo con il paese sembrava
spezzarsi. La seconda Repubblica cedere di schianto. Casini sembrava alle
porte. Infine, l’Italia è in crisi, e la crisi normalmente la paga chi governa.
Dunque, il risultato ha effettivamente dell’incredibile, e non vale attardarsi sulle
percentuali, difficilmente calcolabili in elezioni di questo tipo, ovviamente in
diminuzione in una situazione di maggiore astensione, e che comunque scontano
elementi di disaffezione che personalmente non tendo a sopravvalutare. Dell’incredibile,
dunque, per chi non abbia chiare due cose: la profondità dell’Italia di
centro-destra “inventata” nel quindicennio, la complessità e serietà della sua
egemonia che si muove su molti fronti, dal senso comune alla proposta politica
ed alle forme della comunicazione; la caduta secca del vecchio sistema
egemonico della prima Repubblica, e il vuoto drammatico, di idee e di forze,
che c’è sul fronte dell’opposizione. E in politica vuoti non se ne danno: vale
la teoria dei vasi comunicanti. Su quest’ultimo fronte bisogna aggiungere che
alcuni elementi permangono e resistono a ogni smentita. L’idea che Berlusconi e
il berlusconismo si possano battere per via non politica, e magari
schiettamente giudiziaria, e le speranze in questa direzione si sono attizzate
oltre ogni dire negli ultimi mesi sempre sotto la guida poco saggia di
Repubblica. Quando ci si convincerà che non è
questa la via da seguire? Quante altre sconfitte dovrà subire il centro-sinistra
prima di accorgersene? In un certo senso, solo Vendola in Puglia lo ha capito,
e anche perciò regge bene. Ma torniamo al voto. La Lega è al centro dell’attenzione
di tutti. E la Lega cresce in tutto il Centro-Nord e governa due regioni
fondamentali, e fra esse quel Piemonte che è il vero dato politico su cui si
deve concentrare l’attenzione. Che dire di questo fenomeno? Anche questo non
sorprende chi ha sempre pensato che la rottura del vecchio sistema abbia avuto
nella Lega il suo vero punto d’avvio, e che il suo consolidamento e la sua
fuoriuscita perfino dalle vecchie roccaforti sia indice sicuro del disfacimento
del vecchio sistema: questo è il punto d’avvio della seconda Repubblica, non
altro, e queste elezioni lo hanno straordinariamente consolidato. Su questo si
dovrebbe mettere un punto fermo. Altra questione è vedere quale capacità avrà
la Lega di far seguire a questa vittoria politico-elettorale una effettiva capacità
di proposta generale per l’Italia, e quale intreccio virtuoso riuscirà a
stabilire fra la sua presenza nel governo nazionale e il suo governo di regioni
decisive, per il quale sicuramente non basta il forse troppo decantato rapporto
con il “territorio”. Che cosa avverrà del federalismo? Quale capacità di
proposta “nazionale” avrà la Lega, con la sua forza determinante in regioni
fondamentali? Queste sono per davvero domande aperte, per le quali è inutile avventurarsi
in previsioni. Però intorno al tema vorrei svolgere un’ultima riflessione.
Credo che il voto consolidi e non indebolisca l’alleanza fra la Lega e il PDL
berlusconiano, e forse cadrà un’altra illusione a sinistra. E’ un punto
naturalmente cruciale. Fini mi pare fuori gioco, e per il momento la cosa
sembra già consolidata. In fondo la sua proposta politico-culturale era alternativa
alla Lega, lì prendeva la sua forza. Il combinato-disposto della sua iniziativa
era il declino di Berlusconi e il contenimento della Lega: due ipotesi che il
voto ha fatto per ora cadere. Ora il gioco in mano lo hanno Berlusconi (il “leghista”
Berlusconi, si può dire? Ci vorrebbero precisazioni, ma il dato è anche
quello), e la Lega. Se l’asse regge, si apre il tempo delle riforme, e la seconda
Repubblica, data per morta da molti, riprende a camminare. Quante conseguenze
possibili di queste elezioni! Il centro-sinistra dovrebbe finalmente prender
coscienza della complessità storico-politica della situazione che si trova di
fronte. E prepararsi a fronteggiarla ricominciando a pensare, cosa che da
troppo tempo non fa, sempre in attesa che il cadavere del nemico passi lungo il
celebre fiume. Ma, accertato che questa ipotesi non si dà, una scossa sarà pur
necessaria anche se per ora non se ne vedono i segni. Vedremo, la speranza è l’ultima
a morire secondo un vecchio adagio  regge,
si apre il tempo delle riforme, e la seconda Repubblica, data per morta da
molti, riprende a camminare. Quante conseguenze possibili di queste elezioni! Il
centro-sinistra dovrebbe finalmente prender coscienza della complessità storico-politica
della situazione che si trova di fronte. E prepararsi a fronteggiarla
ricominciando a pensare, cosa che da troppo tempo non fa, sempre in attesa che
il cadavere del nemico passi lungo il celebre fiume. Ma, accertato che questa
ipotesi non si dà, una scossa sarà pur necessaria anche se per ora non se ne
vedono i segni. Vedremo, la speranza è l’ultima a morire secondo un vecchio
adagio.